La Toscana si candida a capofila degli ecodistretti
Fonte HuffingtonPost - 26 Febbraio 2022L’obiettivo è rilanciare la geotermia e ricavare materie prime dai rifiuti
Si chiamano ecodistretti industriali e puntano a riconvertire i poli produttivi tradizionali basati sulle fonti fossili offrendo nuove opportunità economiche. Il vecchio modello produttivo lineare era basato su una sequenza lineare: estrazione di materie prime, produzione di beni di consumo, rifiuti gettati senza farsi domande sugli effetti sull’ambiente. La nuova proposta parte dalle teorie espresse già negli anni ’60 dall’economista Kenneth E. Boulding sulla circolarità delle risorse e poi, nel 1972, dal rapporto “I limiti dello sviluppo” promosso dal Club di Roma, un’anticipazione sulle conseguenze della crescente scarsità delle risorse e dell’inquinamento crescente.
L’eco-distretto industriale rappresenta un’ulteriore evoluzione basata sui legami fra nuove infrastrutture industriali, smart cities, energie rinnovabili, economia circolare, innovazione e ricerca, smart mobility, sviluppo sostenibile. E l’Italia degli ecodistretti trova terreno fertile in Toscana. Agricoltura, produzioni agroalimentari, energia, rifiuti, si amalgamano valorizzando uno straordinario patrimonio di paesaggi, luoghi ed eccellenze dei territori.
Dal sistema agroalimentare un terzo delle emissioni serra
L’intero sistema agroalimentare, dal campo alla tavola passando per la lavorazione e il trasporto, assorbe oggi circa un terzo del consumo globale di energia e dei gas serra prodotti. Il cibo che portiamo in tavola, dunque, incide notevolmente sulla crisi climatica in atto, e ridurne l’impronta carbonica rappresenta un passo importante per raggiungere gli obiettivi climatici fissati dalla Cop 26 di Glasgow.
Sotto questo profilo la geotermia – spiega Luca Guglielmetti, geologo e ricercatore all’Università di Ginevra sul sito del Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche (www.cosvig.it) – “ha un potenziale ancora inesplorato per quanto riguarda gli usi diretti del calore nel settore agroalimentare. Anche se le applicazioni dell’energia geotermica nella filiera coprono una varietà piuttosto ampia, questa fonte rinnovabile contribuisce oggi solo in minima parte alla trasformazione energetica del comparto nel suo complesso”.
La Comunità toscana del cibo a energie rinnovabili
Un esempio della diffusione delle buone pratiche, coniugando geotermia e produzioni agroalimentari viene dall’esperienza della Comunità toscana del cibo a energie rinnovabili (Ccer). Nata nel 2009 grazie a un’intesa tra Slow Food Toscana, Fondazione Slow Food per la Biodiversità e Cosvig, la Ccer è la prima comunità mondiale del cibo ad energia pulita e rinnovabile che insiste sui metodi di produzione oltre che sui prodotti.
La Comunità toscana del cibo a energie rinnovabili riunisce aziende che per le proprie produzioni (le più svariate: dal basilico ai cereali, dalla pizza all’olio d’oliva, dal vino alla birra) utilizzano esclusivamente energie rinnovabili e materie prime locali. Per queste sue specificità, anche Legambiente, nel suo Report 2021 dedicato alle Comunità Rinnovabili, ha scelto di premiare la Ccer, segnalando in particolare la cooperativa Parvus Flos, azienda agricola biologica che produce basilico e pesto, piante aromatiche e ornamentali in serre geotermiche. Altri riconoscimenti sono andati a Vapori di birra, primo birrificio artigianale italiano che impiega vapore geotermico come fonte primaria di energia, e a Serraiola Wine, azienda a conduzione familiare che, dalla fine degli anni ’60, privilegia colture viticole e olivicole servendosi, per l’approvvigionamento elettrico, di un impianto fotovoltaico.
In Toscana la geotermia – l’uso del vapore e delle acque calde sotterranee per produrre elettricità e climatizzare case e aziende – è stata utilizzata per la prima volta per la produzione di elettricità nel luglio 1904: il principe Piero Ginori Conti sperimentò il primo generatore geotermico a Lardarello, in provincia di Pisa. La geotermia è una delle poche risorse rinnovabili in grado di funzionare 24 ore su 24, tutto l’anno ma attualmente solo 944 MW sono installati in Italia e hanno una produzione equivalente a quella di 6 GW di fotovoltaico.
La geotermia è bloccata da 10 anni
La geotermia, secondo una stima prudenziale dell’Unione geotermica italiana, potrebbe fornire all’Italia almeno altri 5 GW di elettricità rinnovabile e programmabile, cioè l’equivalente di circa 30 GW di solare. Ma da circa 10 anni non viene installato nulla. La principale ragione della rinuncia all’utilizzo della geotermia è attribuita all’ostilità che i nuovi progetti incontrano da parte delle popolazioni e delle autorità locali. Una campagna, andata avanti negli anni scorsi, ha dipinto la geotermia come inquinante per il rilascio di gas contenenti idrogeno solforato o mercurio. E dopo che questo problema è stato superato con l’uso di filtri che abbattono al 95% questi gas (peraltro presenti nelle manifestazioni idrotermali spontanee nelle stesse aree), è stato affermato che le centrali geotermiche emetterebbero più CO2 di quanta ne fanno risparmiare, a causa della degassazione del vapore estratto dal sottosuolo.
In realtà “non solo le centrali geotermiche non rilasciano più CO2 di quanta ne rilascerebbe in loro assenza il terreno in cui si trovano – spiega il geochimico Alessandro Sbrana dell’Università di Pisa – ma a lungo andare addirittura riducono il rilascio di questo gas”. Una conferma viene da due ricerche (pubblicate sulla rivista Energies e sul Journal of Volcanology and Geothermal Research) condotte da un team di ricercatori di Università di Pisa, Politecnico di Milano e La Sapienza di Roma, con finanziamenti Enel, coordinate da Alessandro Sbrana e Paola Marianelli. Le ricerche, presentate in un workshop il 13 e 14 dicembre scorso, hanno riguardato le zone di Larderello e del Monte Amiata dove si trovano buona parte degli impianti toscani.
“Abbiamo ricostruito le emissioni di CO2 precedenti alla produzione geotermoelettrica”, ha spiegato Sbrana. “Dai dati appare evidente che le emissioni delle centrali geotermoelettriche abbiano sostituito quelle naturali”. Questi studi rappresentano quindi una svolta scientifica per la geotermia: dimostrano che nelle aree geotermiche toscane le emissioni naturali di gas serra (CO2 e CH4) non aumentano in relazione all’attività geotermica, ma restano costanti ripartendosi tra emissioni naturali ed emissioni dagli impianti geotermici.
Il distretto del calore naturale
L’assessora toscana all’Ambiente Monia Monni ha riconosciuto che “la geotermia è un asset strategico attorno al quale dovrà ruotare l’intera transizione ecologica della Toscana. Investire sulla geotermia significa rendere i territori più attrattivi: un’opportunità di sviluppo su cui tutti i cittadini dovranno essere pienamente informati”.
La geotermia toscana – un vero e proprio distretto – conta attualmente 34 centrali gestite da Enel Green Power. Con i suoi 6 miliardi di KWh prodotti ogni anno soddisfa, a livello regionale, circa il 34% del fabbisogno elettrico e rappresenta il 70% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. Inoltre fornisce calore per riscaldamento e acqua calda utile a oltre 10 mila utenze, 30 ettari di serre e aziende della filiera agroalimentare e dell’artigianato.
Anche i rifiuti possono dar vita a un distretto. Ne è convinto il presidente di Maire Tecnimont Fabrizio Di Amato, secondo il quale “i rifiuti sono il petrolio del terzo millennio”. Come? Utilizzando una tecnologia grazie alla quale si recuperano il carbonio e l’idrogeno contenuti nei rifiuti plastici e secchi che non sono riciclabili meccanicamente, trasformandoli in gas di sintesi e poi ricavando da questi gas “molecole circolari” che sono materie prime utili per ottenere prodotti come idrogeno, metanolo o etanolo.
Chiudere il ciclo dei rifiuti
Per NextChem, società del gruppo Maire Tecnimont, “oggi la Toscana ha un’opportunità storica di chiudere il ciclo dei rifiuti grazie a nuove tecnologie impiantistiche che rispondono agli obiettivi di economia circolare e di decarbonizzazione dell’Unione europea”, come emerso in occasione di un convegno che si è tenuto a Pisa lo scorso anno presso la Scuola Superiore Sant’Anna.
NextChem propone un modello di distretto circolare verde in grado di ricavare dai rifiuti nuovi prodotti circolari e a basse emissioni per la transizione ecologica. Il cuore del distretto è il riciclo chimico: “La tecnologia di conversione chimica per la produzione di molecole circolari è un’innovazione di NextChem che si basa su processi consolidati”, ha detto Pierroberto Folgiero, ceo di Maire Tecnimont e di NextChem in occasione del convegno a Pisa. “Si tratta di una soluzione che contribuisce sia alla riduzione dello smaltimento dei rifiuti in discarica sia alla decarbonizzazione dell’industria e dei trasporti, necessaria al raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni”.
Quanto al consenso sociale, l’unica strada percorribile, e non solo per NextChem, passa dalla trasparenza e dalla condivisione con il territorio dei benefici socioeconomici oltre che ambientali. E proprio di infrastrutture per l’economia circolare si parlerà a Firenze il primo marzo in occasione di un convegno promosso dal Consiglio regionale della Toscana che presenterà un rapporto di Ref Ricerche promosso da Confindustria Toscana e Confservizi Cispel Toscana su “La gestione efficiente del ciclo ambientale verso Toscana 2030: sfide, opportunità e costi del non fare”. Parteciperanno il presidente del Consiglio regionale, l’assessora all’Ambiente Monia Monni, i capigruppo del Consiglio Regionale, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani. Il convegno sarà trasmesso in streaming dai canali social del Consiglio regionale della Toscana.