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No.

La raccolta differenziata è il primo passo fondamentale per una gestione sostenibile dei rifiuti. Ma anche in contesti virtuosi, come nella regione Toscana dove la percentuale della raccolta differenziata supera il 60%, è fondamentale avere una soluzione tecnologica che permetta di recuperare quella frazione di rifiuti che non è possibile riciclare, e che attualmente viene smaltita in discarica o inviata all’incenerimento. Come confermato da Corepla, circa il 40% della plastica raccolta non può essere avviata al riciclo, finendo nei termovalorizzatori o nei cementifici. Grazie alla tecnologia Waste to Chemicals è possibile intercettare la quantità di rifiuti non riciclabile con tecnologie tradizionali e recuperarla per produrre prodotti circolari.

La combustione completa di un idrocarburo porta alla formazione di anidride carbonica, acqua e calore e una serie di microinquinanti dannosi per la salute. Con il calore generato normalmente viene prodotta energia elettrica. Al contrario, la tecnologia di conversione chimica di NextChem si basa su un processo di ossidazione parziale, che viene fermato allo stadio in cui si generano ossido di carbonio e idrogeno (denominato gas di sintesi), e che non produce microinquinanti dannosi per la salute (le emissioni in atmosfera sono insignificanti).

 Il progetto contribuisce alla tutela ambientale, grazie alla riduzione complessiva delle emissioni di CO2 e non vi sono emissioni di inquinanti in atmosfera. Nel caso del Waste to Chemicals i residui del processo di purificazione del gas vengono smaltiti in modo sicuro e la parte residuale che “avanza” dal processo di conversione (inerti che si trovano tra i rifiuti, residui non convertibili) vanno a comporre un residuo inerte vetrificato che può essere impiegato per diverse tipologie di applicazioni civili e industriali.

Ad oggi la vetrificazione della frazione inerte è del resto considerata dalla Comunità Europea la “BAT - best available technology” (migliore tecnologia disponibile) per rendere tale frazione valorizzabile in un’ottica di economia circolare.

Sicuramente sì, è prevista una valutazione ma in ogni caso, la gestione dei flussi di approvvigionamento porrà la massima attenzione alla minimizzazione del chilometraggio e a un possibile mix logistico (gomma, treno, nave, a seconda della localizzazione di ciascun distretto) volto alla riduzione degli impatti ambientali.

Sì, c’è anche una piccola quantità, intorno al 5-6%, di CO2 in uscita dal Distretto Circolare Verde, ma noi puntiamo alla neutralità carbonica del processo e dunque, sia mediante il monitoraggio dei parametri, che mediante l’integrazione del processo con idrogeno verde, stiamo progettando il completo abbattimento dell’impatto carbonico.

Le emissioni di CO₂ sono meno della metà di quelle di un inceneritore. Il processo complessivamente consente di risparmiare il 90% di emissioni se si considerano quelle evitate a monte e a valle del ciclo di vita (quelle evitate non incenerendo e quelle evitate con i prodotti, sostituendo petrolio). La CO₂ che esce è quasi tutta pura e riutilizzabile sul mercato. La CO₂ pura prodotta può essere liquefatta o compressa e impiegata per altri usi, come la concimazione carbonica per le serre agricole o per le macchine di refrigerazione a circuito aperto.

Il valore di investimento può essere stimato in 3-400 milioni di euro.

 Stimiamo che i primi distretti possano essere messi in funzione in 3-4 anni.

La governance del progetto sarà valutata caso per caso e non si esclude che potranno essere attivate partnership pubblico-privato. Il progetto attrae l’interesse di Fondi Europei per lo sviluppo regionale, la riconversione industriale e il cambiamento climatico, di investitori istituzionali e istituzioni finanziarie sovranazionali, di corporate italiane coinvolte nel processo di transizione energetica ed è assolutamente in linea con i criteri e le linee guida del Recovery and Resilience Fund.

Per i siti di interesse nazionale sono previsti incentivi fiscali, sotto forma di credito di imposta, per le imprese che sottoscrivono accordi di programma volti a favorire la bonifica e la messa in sicurezza dei siti inquinati di interesse nazionale e la loro riconversione industriale.

 Il nostro schema prevede che questi distretti possano essere realizzati nei cosiddetti siti “brownfield”, dove esistono già realtà industriali presenti, attive o in dismissione, perché dove esistono già raffinerie, petrolchimici e acciaierie, abbiamo già un sito industriale, infrastrutture logistiche, facilities e skill che ci servono per condurre questi impianti. I siti brownfield, tradizionali, i siti di interesse nazionale, sono aree che si devono riconvertire a processi più green, ridurre l’intensità carbonica dei processi, introdurre elementi di circolarità. Questi distretti possono innescare un circuito virtuoso e portare cambiamenti positivi anche nel territorio.

Vogliamo reperire le competenze sul mercato locale del lavoro e metteremo a disposizione tutto il nostro know how per formare le persone che lavoreranno con noi.

La realizzazione di un Distretto Circolare Verde consentirà la creazione di numerosi posti di lavoro tra diretti e indiretti, dedicati alla costruzione dell’impianto, durante il periodo di realizzazione.

Sono prevalenti gli impatti positivi sulle comunità locali. La realizzazione di un Distretto Circolare Verde avrà impatti in termini di recupero di rifiuti che altrimenti andrebbero ad occupare discariche o verrebbero inceneriti, un vantaggio in termini di riduzione delle emissioni di CO2, in termini occupazionali e di indotto e di creazione di una nuova filiera industriale. 

Gli impatti ambientali del sito produttivo sono molto contenuti, in quanto, non trattandosi di un processo di combustione, non ci sono praticamente emissioni inquinanti in atmosfera. Gli unici scarti del processo rappresentano un 4% del volume totale di ingresso. La CO2 emessa, notevolmente inferiore a quella di un impianto di incenerimento, è per la maggior parte una CO2 pura riutilizzabile in vari modi.

Le compensazioni sono ovviamente previste come da normativa. NextChem è a disposizione, insieme ai partner dei progetti, per avviare un processo di ascolto delle comunità locali per individuare insieme, in un percorso condiviso, le migliori proposte e le migliori soluzioni.

Abbiamo un impianto già funzionante che installa la tecnologia di Upcycling dei rifiuti plastici, a Brescia. Un impianto analogo è in fase di progettazione in Emilia-Romagna per Aliplast.
Nella Regione Toscana stiamo lavorando insieme ad Alia alla progettazione di tre impianti. Abbiamo realizzato un progetto per Eni per un impianto a Livorno per la produzione di Metanolo Circolare da conversione chimica di rifiuti. In Liguria, a Genova, è stato studiato un progetto per Iren per la realizzazione di un impianto di produzione di Idrogeno Circolare a servizio del porto.
Abbiamo uno studio di fattibilità in corso per la realizzazione di un impianto di produzione di Gas Circolare e di Idrogeno Circolare a Taranto, un progetto in corso con Enel Green Power per la realizzazione di un impianto di produzione di idrogeno green da elettrolisi partendo da rinnovabili negli Stati Uniti e altri progetti che stanno prendendo corpo sia in Italia che all’estero.

 Noi stiamo progettando impianti waste to chemicals con moduli da 200 mila tonnellate l’anno, ovvero in grado di servire bene un medio bacino geografico ottenendo quelle economie di scala che possono servire a ridurre il costo della gestione dei rifiuti per la pubblica amministrazione e dunque per i cittadini. Per quanto riguarda l’Upcycling, la taglia dell’impianto che abbiamo a Bedizzole con installata la tecnologia MyReplast è di 40.000 tonnellate anno. Per quanto riguarda la produzione di idrogeno verde da elettrolisi, la taglia varia molto in base all’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili.

Sì. Le acciaierie sono proprio il sito che noi immaginiamo ideale, e soprattutto le acciaierie che a ciclo integrale partono dal ferro e non dal forno elettrico, dove ci sono già le cokerie: all’interno dell’acciaieria noi potremmo immaginare grandissimi impianti di waste-to-syngas che possono produrre CO e idrogeno. CO e idrogeno sono per eccellenza i due gas riducenti migliori che la chimica può mettere a punto, e sono quei gas che quando vedono la molecola dell’ossido ferrico la possono trasformare in ferro elementare e poi in ferro carbonio, che è alla base della produzione dell’acciaio. 

Noi stiamo immaginando impianti costituiti da “moduli” in parallelo, perché vogliamo mantenere la stessa configurazione geometrica e garantire la stessa fluidodinamica che esiste nei convertitori giapponesi JFE, società con cui abbiamo siglato un accordo commerciale per implementare e licenziare la tecnologia di conversione. Sono impianti che devono funzionare h24 e tutti i giorni, 365 giorni l’anno, perché le municipalità forniscono i rifiuti ogni giorno.

Il volume aggredibile è potenzialmente altissimo: solo in Italia si producono circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno. Stimiamo che potremmo arrivare a riciclare dai 5 ai 7 milioni di tonnellate annue di rifiuti che attualmente finiscono incenerite, magari all’estero, o in discarica.

Prevalentemente rifiuti plastici, CSS ma con la nostra tecnologia possiamo trattare ogni tipo di rifiuto secco, tranne ovviamente i pericolosi e gli ospedalieri. Questa tecnologia ha una grande flessibilità e permette di trattare anche rifiuti proveniente da discarica.

Il feedstock utilizzato è composto normalmente per una percentuale dal 30% al 40% da rifiuti di origine non sintetica, come il legno, gli scarti dell’industria della carta e del tessile, materiale che non può essere riciclato meccanicamente perché sporco o deteriorato e che normalmente finirebbe in discarica, ma che recuperato con questa tecnologia contribuisce a ridurre l’impronta carbonica del prodotto finale, in quanto privo di idrocarburi.

Il Granulato Inerte è un prodotto derivato dal processo di conversione chimica dei rifiuti. NextChem ha commissionato al Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia l’analisi del materiale inerte ottenuto da un impianto di conversione chimica attualmente operante in Giappone. Sulla base dei risultati fino ad ora conseguiti è emerso che il granulato inerte può essere impiegato nell’industria della ceramica e delle costruzioni per la fabbricazione di piastrelle, mattoni, cemento e materiale per sabbiatura.

Sì. La tecnologia di conversione chimica del rifiuto viene già utilizzata in Giappone da 20 anni in 140 impianti. 7 di questi, di ultima generazione, utilizzano il gas di sintesi da conversione chimica dei rifiuti per la produzione di energia elettrica. La piattaforma tecnologica sviluppata da NextChem integra diverse tecnologie già consolidate (conversione chimica, purificazione, produzione di Metanolo Circolare da gas di sintesi, produzione di Etanolo Circolare da gas di sintesi, produzione di idrogeno).