Cosa si può fare con i rifiuti di plastica che non ricicliamo
Fonte Il Post - 28 Ottobre 2020Usarli per produrre prodotti chimici “circolari”, in nuovi distretti industriali come quelli progettati da NextChem in Italia.
Non tutta la plastica che gettiamo nei bidoni della raccolta differenziata viene riciclata. Non tutti gli imballaggi o i contenitori in plastica sono facilmente riciclabili. Se poi si pensa ai tanti oggetti in plastica che gettiamo nei cassonetti dell’indifferenziato, la cosa si complica ancora di più. Quando si parla di rifiuti di plastica infatti si fa riferimento a una molteplicità di oggetti fatti di polimeri diversi: sebbene tutti ottenuti a partire dal petrolio, non possono essere riciclati nello stesso modo, con la stessa resa. I rifiuti in plastica complessi da riciclare fanno una fine diversa: in Italia, vengono separati dalla plastica riciclabile e vanno a recupero energetico negli inceneritori, oppure in alcuni casi finiscono ancora in discarica. Un’altra alternativa però esiste: il riciclo chimico.
Cos’è il riciclo chimico
I rifiuti di plastica non riciclabili possono essere riutilizzati grazie a trattamenti che riescono a recuperare il carbonio e l’idrogeno che contengono attraverso un processo di conversione chimica, che prevede l’uso di ossigeno e nessuna forma di combustione. Ciò che si ottiene è il gas di sintesi, un prodotto chimico che viene usato nell’industria chimica come elemento di partenza per realizzare altri prodotti chimici.
Il gas di sintesi ottenuto con il riciclo chimico può infatti essere usato come combustibile oppure per la produzione di altre sostanze, come l’idrogeno, il metanolo e l’etanolo. A loro volta questi prodotti sono usati come carburanti o come “ingredienti” nei processi chimici industriali. Rispetto al gas di sintesi prodotto con il metano, quello prodotto grazie ai rifiuti può avere un costo inferiore, ha una minore produzione di emissioni di anidride carbonica (responsabile dell’innalzamento della temperatura del pianeta) e non richiede appunto il consumo di ulteriori fonti fossili.
Il Distretto circolare di NextChem
NextChem, una società del gruppo Maire Tecnimont, multinazionale italiana che si occupa di ingegneria impiantistica per il settore energetico e chimico, ha sviluppato un’idea per aumentare la quota di rifiuti riciclati grazie a un processo chimico e, contemporaneamente, rendere più sostenibili alcuni dei settori industriali più comunemente associati all’inquinamento.
Il modello di distretto industriale circolare pensato da NextChem si basa sui principi dell’economia circolare, un obiettivo sia per la Commissione europea che per l’attuale governo, come ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte agli “Stati generali” dell’estate scorsa. Il modello integra questa tipologia di riciclo chimico con il riciclo tradizionale (che produce nuove materie prime per stampare nuovi oggetti in plastica) e anche con la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili mediante elettrolisi.
I primi Distretti circolari
Il modello teorico di Distretto circolare di NextChem si può adattare a siti industriali esistenti per aiutarli a diventare più sostenibili per l’ambiente e nella decarbonizzazione, cioè nella riduzione di emissioni di anidride carbonica.
Esistono già tre progetti di Distretti circolari in Italia, a diversi livelli di sviluppo, e realizzati da NextChem insieme a Eni, la più importante azienda energetica del paese. Uno riguarda la raffineria di Eni di Venezia, dove si viole avviare la produzione di idrogeno “circolare”. Il secondo riguarda invece la produzione di metanolo circolare alla raffineria di Eni di Livorno. È ancora in una fase di studi preliminari invece il progetto per la produzione di gas di sintesi e di idrogeno circolare a Taranto.