Distretto Circolare Verde

Fonte: LaTermotecnica di febbraio 2023

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WASTE TO METHANOL: LA PRODUZIONE DI METANOLO DA RIFIUTI URBANI

L’Ing. Giacomo Rispoli, ingegnere chimico, Presidente del Gruppo di Lavoro (GdL) AIDIC sulla Transizione Energetica e CEO di MyRechemical, la società dedicata allo sviluppo di progetti nel campo dell’economia circolare del Gruppo Maire Tecnimont, ha trattato quindi il tema della produzione di metanolo da rifiuti. L’intervento è iniziato con una breve descrizione della Maire Tecnimont e delle attività che presidia per la transizione energetica.

Questa transizione ed è un parere largamente condiviso in AIDIC non sarà breve: di fronte ad essa è giusto tenere una posizione corretta, non dando adito a ingiustificati entusiasmi. Andando a guardare i rifiuti solidi urbani (RSU), essi attualmente sono grosso modo per un terzo organico, per un terzo soggetti a recupero (carta, vetro, plastica) e per un terzo destinati agli inceneritori/termovalorizzatori o alle discariche; è su questi ultimi che la NextChem e la sua controllata MyRechemical, società del Gruppo, hanno deciso di intervenire attraverso i distretti circolari verdi.

Il Distretto Circolare Verde è una piattaforma tecnologica e industriale che include tre ambiti della transizione energetica: il riciclo della plastica recuperabile, il riciclo chimico della plastica non recuperabile e degli inerti (per produrre sostanze chimiche e carburanti), la produzione di idrogeno verde. Il rifiuto non riciclabile prende il nome di combustibile derivato dai rifiuti (RDF), di origine municipale, commerciale e industriale, che, assieme al plasmix e ai rifiuti speciali, può scindersi in molecole gassose e dar luogo a prodotti chimici di base, come idrogeno, metanolo, etanolo, e da questi a carburanti di vario tipo (FAME, SAF, MTBE, ETBE, ecc.) e a prodotti chimici (polietilene, etilacetato, ecc.).

Interessante è notare che il contenuto energetico di questo rifiuto è alto, più di un terzo di quello del gasolio, e quindi non va sprecato bruciandolo o portandolo a discarica. Il processo impiegato per la trasformazione dell’RDF è la gassificazione, una tecnologia di conversione ad alta temperatura che usa come agente ossidante ossigeno anche puro (come sperimentato in diversi impianti industriali dal 2001); esso dà come prodotto il gas di sintesi, la matrice dei successivi prodotti, e come residuo solo una serie di ossidi che diventano granulato vetrificato inerte per l’industria della ceramica e del cemento (16,5% sul rifiuto) e un fango da essiccare (4,0% sul rifiuto).

Da qui il gas di sintesi, dopo purificazione e condizionamento, passa al processo di sintesi del metanolo per dar luogo appunto a metanolo e ad una corrente minima di idrogeno, con un processo decisamente “energy intensive”. Nell’esaminare questi processi bisogna però fare riferimento all’analisi LCA: in questo caso, di fronte al processo convenzionale di produzione del metanolo, le emissioni di CO2 del complesso gassificazione più sintesi del metanolo, sottraendo quelle dell’inceneritore che sarebbe necessario per il trattamento dei rifiuti, sono inferiori del 70% ed oltre: perciò il complesso si può definire “a bassa impronta carbonica”. Se poi per trattenere la corrente di CO2 in uscita dal condizionamento, che è già ad elevata purezza, aggiungiamo un sistema di liquefazione e trasportiamo la CO2 liquida (o supercritica) in uno stoccaggio naturale (giacimento depleto o acquifero salino), raggiungiamo una quantità di emissioni della CO2 al sito pari a zero e, in termini di LCA, addirittura negativa, visto che intombiamo anche la CO2 biogenica del rifiuto, in alternativa emessa nell’atmosfera.

È sempre vero che il complesso è piuttosto energivoro in termini di potenza assorbita per la separazione dell’aria, di gas naturale di sostegno della gassificazione e di vapore a MP e BP; però, quando saremo in grado di usare energia elettrica e idrogeno elettrolitico, entrambi prodotti da fonti rinnovabili, potremo mandare direttamente il gas di sintesi, purificato e portato alla composizione corretta con l’aggiunta di idrogeno, alla sintesi del metanolo, evitando l’invio della CO2, in eccesso a stoccaggio e producendo addirittura una quantità extra di metanolo.

Infine l’ing. Rispoli ha illustrato i vantaggi dell’uso di metanolo come carburante marino di fronte ad altri carburanti (idrogeno, ammoniaca, metano, olio combustibile denso), anche se prodotti in maniera sostenibile; così come la convenienza di installare un complesso del genere nella prossimità di un porto, con la possibilità di ricevere rifiuti via mare, distribuire metanolo tramite collegamento via tubo con il porto e utilizzare l’idrogeno prodotto in ambito portuale.

La conclusione è che il metanolo, ricavato dai rifiuti in maniera sostenibile, può essere il carburante che va a sostituire l’olio combustibile bunker oggi impiegato, contribuendo così a creare i porti “green”. È prevista anche la produzione di idrogeno a bassa impronta carbonica e a basso costo, che agevola la mobilità nei porti e favorisce lo sviluppo della economia deIl’H2, sulla quale l’Europa sta puntando molto. Insomma dai rifiuti metanolo ed idrogeno per decarbonizzare i nostri porti.

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Fonte: Corriere della Sera del 7 marzo 2023

«La nuova Maire Tecnimont? Spinta su idrogeno e biogas»- Corriere.it

Il presidente Di Amato: l’Italia può diventare un hub del riciclo per l’energia

«Guardiamo al futuro valorizzando il passato dell’industria energetica italiana». E’ la sintesi del progetto di Fabrizio Di Amato, presidente di Maire Tecnimont, ora con il nuovo logo Maire. Per il suo gruppo ha appena tenuto a battesimo la rivoluzione Unbox the Future, il primo piano nella storia della multinazionale che guarda al prossimo decennio, con la previsione di ricavi raddoppiati a 7 miliardi dí euro, una cassa pari a dieci volte quella del 2022, nonostante la spinta di investimenti pari a un miliardo. Si parte dai 3,4 miliardi di ricavi del 2022 (+20,9%) e la previsione di salire a 3,8-4,2 miliardi quest’anno.
Il suo gruppo quotato a Piazza Affari è il risultato dell’assemblaggio da parte di Maire di pezzi di pregio del Made in Italy dell’ingegneria, come Fiat Engineering e Tecnimont, forti di oltre 1oo anni di storia nella chimica. Quest’anno Di Amato festeggia i 40 anni della sua attività.

Qual è l’architettura del nuovo piano?
«Abbiamo deciso di fare chiarezza nella struttura organizzativa, ce lo chiedono i clienti e il mercato. Oggi Maire è una realtà completamente trasformata, che capitalizza su quanto fatto finora e si riorganizza con due divisioni puntando da una parte sulle nuove tecnologie e dall’altra sulla storica capacità ingegneristica. L’obiettivo è giocare il ruolo di global technology leader nella transizione energetica. Unbox the Future è una prima tappa. Il piano guarda a dieci anni perché l’attività di Maire segue i grandi trend delle rivoluzioni industriali».

Come si muoveranno le due divisioni?
«Sustainable Technology Solutions amplierà il portafoglio tecnologico, anche grazie alla capacità del gruppo di coinvestire in progetti sostenibili. Siamo già presenti nelle tecnologie dei biocarburanti, dei biopolimeri e polimeri biodegradabili, nel riciclo della plastica, nella cattura della CO2 e nell’idrogeno. La divisione potrà lavorare in tandem con l’altra unità, la Integrated E&C solutions, che rappresenta la nostra storica capacità impiantistica. Il 95% del nostro fatturato viene dall’estero ma portiamo le competenze italiane nel mondo”.

Qual è l’impatto sul Paese?
«Prendiamo l’esempio del progetto di Roma dove producendo gas sintetico da rifiuti indifferenziati che peraltro l’Italia è costretta a esportare — otterremo idrogeno ed etanolo, alternative più sostenibili per la mobilità. Con questo tipo di impianti si potrebbero recuperare dai 16 milioni di rifiuti che ogni anno vanno in discarica a livello nazionale fino a 1,6 milioni di tonnellate di idrogeno che equivale al 20% di quello che oggi si consuma in Europa. Insomma, l’Italia potrebbe diventare un hub di idrogeno autoprodotto, come se avesse quelle risorse naturali che il Paese non possiede, facendo lavorare la filiera, stringendo partnership con industria e finanza»

Tutti gli attori nell’energia si muovono sui nuovi carburanti, come si può collaborare per accelerare i progetti?
«Nel waste to chemical Maire ha lanciato dieci iniziative nel Paese e abbiamo già molti partner, sia finanziari sia gruppi industriali con anche il ruolo di fornitori della materia prima o di acquirenti del prodotto finito, tra cui Eni, Iren, Acea, e Suez per collaborare in varie regioni come ad esempio Lombardia, Toscana e Centro Sud».

A che punto è il progetto della hydrogen valley a Roma?
«Sono iniziati gli studi di ingegneria e stiamo lavorando per avviare l’iter autorizzativo» .

Anche De Nora sta sviluppando una gigafactory per l’idrogeno…
«De Nora ha già un accordo con Maire sull’elettrolisi. Tutti gli attori entrano nel progetto idrogeno: solo così può diventare un piano per l’Italia».

Nei vostri progetti in Italia, quanti capitali attiverete?
«In questo genere di progetti, il partenariato pubblico-privato genererebbe un effetto moltiplicatore per quattro sull’investimento. Se consideriamo tutti i nostri progetti presentati in Italia, mobiliteremmo circa 30mila nuovi posti di lavoro tra noi e indotto. Insomma, se l’UE deciderà di lasciare aperte tutte le strade nelle tecnologie verdi noi potremo contribuire alla decarbonizzazione. Ad esempio, nel settore automotive sono convinto che il motore endotermico potrebbe coesistere con quello elettrico, grazie al contributo dei nuovi carburanti sintetici, su cui Maire sta lavorando molto. Il Paese darebbe nuovo impulso alla filiera dell’impiantistica che ha grande tradizione e competenze. Oggi mi sento come con la Maire 40 anni fa, con la stessa passione e la voglia di costruire guardando al futuro. Un orizzonte che vede anche il raddoppio del numero di persone — oggi 9.400 — che lavorano per noi»

Fonte: LifeGate del 20 dicembre 2022

Cosa sono i Distretti circolari verdi – LifeGate

Tra le tecnologie dei Distretti circolari verdi ci sono il recupero di plastiche non riciclabili e la chimica verde per la produzione di idrogeno circolare.

Il mondo è pieno di rifiuti: secondo l’ultimo rapporto della Banca mondiale What a waste 2.0: a global snapshot of solid waste management to 2050, se non si agisce per frenare il fenomeno, entro il 2050 la quantità di rifiuti urbani prodotti aumenterà dai 2,01 miliardi di tonnellate del 2016 a 3,14 miliardi. Un incremento del 70 per cento dovuto, sempre secondo il rapporto, a una costante crescita demografica ed economica.

I paesi ad alto reddito sono responsabili del 34 per cento dei rifiuti generati nel mondo e riescono ad avviarne a riciclo il 31 per cento. I paesi a basso reddito, invece, riescono a riciclare soltanto il 4 per cento dei rifiuti, mentre più del 90 per cento finisce in discarica oppure bruciato.

C’è da dire che negli ultimi anni si sono sviluppate nuove tecnologie per rendere più sostenibile la nostra economia attraverso il riciclo dei rifiuti. Questi infatti possono diventare una risorsa per produrre nuovi beni a basso impatto di CO2: è l’idea alla base del cosiddetto modello dei Distretti circolari verdi.

rifiuti-plastici

Un magazzino con rifiuti plastici da avviare al riciclo nell’impianto MyReplast Industries di Bedizzole, in provincia di Brescia  © NextChem

Cosa sono i Distretti circolari verdi

Per Distretto circolare verde si intende una piattaforma tecnologica e industriale che integra diverse tecnologie di chimica verde ed economia circolare. Il modello contribuisce alla riconversione di siti industriali tradizionali, che utilizzano fonti fossili, in nuovi e più funzionali processi di produzione di prodotti chimici a basse emissioni. L’obiettivo è quello di produrre, attraverso il recupero dei rifiuti, polimeri riciclati insieme a prodotti chimici a basso contenuto di carbonio che possono essere utilizzati in varie catene industriali.

D’altro canto, incrementare il tasso di riciclo significa ridurre il ricorso all’incenerimento e allo smaltimento in discarica. Il concetto di Distretti circolari verdi va quindi di pari passo con quello di economia circolare: per raggiungere gli obiettivi climatici prefissati è indispensabile preservare le risorse del pianeta ed evitare di generare rifiuti difficili da smaltire.

Quali tecnologie per i Distretti circolari verdi

Le tecnologie impiegate rispondono agli obiettivi di decarbonizzazione e vertono principalmente intorno al riciclo dei rifiuti plastici e degli scarti plastici e secchi non riciclabili. Infatti, ogni anno in Europa si producono circa 25,8 milioni di tonnellate di plastica, ma soltanto il 30 per cento viene raccolto e avviato al riciclo, senza contare che Ispra parla di un 15 per cento dei rifiuti indifferenziati costituito da plastica.

I rifiuti plastici che sfuggono alla raccolta differenziata e al riciclo finiscono spesso per essere inceneriti, ma non mancano episodi di abbandono (littering) e smaltimento illegale nell’ambiente. La quantità che finisce nei fiumi e nei laghi e da questi in mare è purtroppo enorme, come dimostrano le concentrazioni di microplastiche nelle acque.

Per fortuna esistono soluzioni che prevengono simili problemi. NextChem, azienda specializzata in tecnologie per la transizione energetica, ha sviluppato una piattaforma integrata che include processi di chimica verde, l’upcycling, ovvero il riciclo meccanico di qualità di rifiuti plastici, il riciclo chimico di scarti plastici e rifiuti secchi e la produzione di idrogeno verde da energie rinnovabili via elettrolisi.

Upcycling

Come funzionano, nella pratica, i Distretti circolari verdi? Tipicamente, il processo avviato è in grado di rivalorizzare i rifiuti plastici: parliamo sia di quelli riciclabili sia di quelli destinati alla discarica o all’incenerimento. Una parte può essere riciclata meccanicamente: la già citata NextChem, per esempio, usa una tecnologia proprietaria che si chiama MyReplast Upcycling, al fine di ricavare nuovi polimeri riciclati di alta qualità.

Il processo include una fase di accurata selezione per polimero e per colore e di riduzione volumetrica (si parla di frantumazione in scaglie a partire da rifiuti plastici di grandi dimensioni) e di trasformazione delle scaglie in granuli (palline) di un determinato colore e con determinate caratteristiche fisiche.

L’upcycling dà ai rifiuti plastici una seconda vita come materie prime secondarie; i prodotti finali sono in grado di colmare il divario esistente a livello di qualità tra plastica riciclata e plastica vergine. I polimeri riciclati vengono utilizzati per realizzare nuovi oggetti in plastica (come arredi, imballaggi rigidi e componentistica per auto) che, una volta finito il loro ciclo di vita utile, diventeranno nuovamente rifiuti e potranno essere di nuovo riciclati.

Riciclo chimico (waste to chemicals)

Una soluzione tecnologica per il riciclo chimico (waste to chemicals) consente di ricavare prodotti chimici e carburanti “circolari” da scarti di rifiuti plastici non riciclabili in modo meccanico, quali il cosiddetto Plasmix (lo scarto del processo di selezione degli imballaggi in plastica provenienti dalla raccolta differenziata urbana) e il cosiddetto css (ovvero combustibile solido secondario, una frazione di rifiuti indifferenziati che è stata sottoposta a una selezione qualitativa).

I rifiuti plastici non riciclabili possono essere convertiti chimicamente recuperando il carbonio e l’idrogeno in essi contenuti, mediante un processo che si chiama “ossidazione parziale”. Quest’ultimo, senza creare combustione, consente di ottenere gas (nel caso di NextChem viene chiamato gas circolare) che serve per generare nuovi prodotti chimici, come idrogeno circolare e ammoniaca, e carburanti low carbon, tra cui metanolo circolare ed etanolo circolare, fondamentali per l’industria e la mobilità sostenibile.

Idrogeno circolare

Come abbiamo detto, dal riciclo chimico si può ottenere anche idrogeno circolare. L’idrogeno circolare, insieme a quello “verde” prodotto da elettrolisi e fonti rinnovabili, può essere utilizzato come combustibile industriale e per la mobilità pubblica.

L’economia del futuro punta molto sull’idrogeno: a luglio 2020 la Commissione europea ha lanciato la Strategia europea sull’idrogeno, nella quale riserva al vettore energetico una posizione di primo piano nel percorso comunitario di transizione energetica. Non solo: l’idrogeno è destinato ad alimentare anche una parte sempre più consistente dei mezzi di trasporto pubblici e privati.

conversione chimica
Come funziona la tecnologia di conversione chimica © Nextchem

I benefici per l’ambiente dei Distretti circolari verdi

Un primo e consistente beneficio di queste tecnologie è riscontrabile nel comparto industriale: sostituire le fonti fossili nei processi produttivi (come il gas naturale o l’idrogeno da metano) con il gas o idrogeno circolari, che hanno un impatto nettamente inferiore, contribuisce notevolmente alla riduzione delle emissioni di CO2 dei siti industriali.

Anche nel settore dei trasporti, l’impronta di CO2 può essere ridotta grazie a carburanti circolari come il metanolo, l’etanolo, l’ammoniaca prodotti da conversione dei rifiuti e classificati “recycled carbon fuels”, inclusi nella normativa europea sulle rinnovabili, e in parte come “advanced”.

Oltre ai benefici ambientali, il modello di Distretto circolare verde rivitalizza l’economia locale, creando nuovo indotto e nuove filiere legate alla sinergia con altre industrie e con la mobilità.

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Processo di riciclo delle plastiche © NextChem

I progetti in Italia

progetti attualmente allo studio per realizzare il modello dei Distretti circolari verdi riguardano impianti immediatamente realizzabili di chimica verde funzionali alla transizione energetica. L’obiettivo è quello di ottenere prodotti chimici “circolari” attraverso la conversione di rifiuti che non sarebbero riciclabili per via meccanica. Questi prodotti chimici potrebbero tornare utili nelle filiere industriali, nel settore dei combustibili e dei carburanti low carbon o, ancora, per la produzione di nuovi materiali plastici. Questo è il principio alla base dei vari Distretti circolari verdi ora in fase di progettazione: sono dislocati da nord a sud dell’Italia, con diversi tagli di capacità e mix di output di prodotto, tra cui l’idrogeno circolare, il metanolo circolare, l’etanolo circolare e il gas circolare.

Fonte: Greenreport del 9 dicembre 2022

Distretto circolare sì, no, forse: chi decide sulla gestione rifiuti in Toscana? – Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile

Sul caso di Empoli si rimpallano Comune e Regione, mentre i comitati si dicono disponibili a “discutere di alternative”. Ma le uniche possibili sono termovalorizzatori, discariche o export

di Luca Aterini

Neanche due settimane sono state sufficienti per marcare quella che sembra già una chiara inversione di rotta nel supporto istituzionale al Distretto circolare di Empoli.

Come ormai noto l’ipotesi progettuale prevede di realizzare, nell’area industriale del Terrafino, un impianto di riciclo chimico per ricavare metanolo e idrogeno da 256 mila t/a di rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente (come Css e plasmix), ad oggi destinati a termovalorizzazione, a discarica o all’export.

Un’ipotesi presentata per la prima volta in Consiglio comunale lo scorso aprile, registrando disponibilità al confronto da tutte le forze politiche in campo, vista anche la natura dei proponenti: un’Alleanza circolare di soggetti capeggiata da Alia – il gestore interamente pubblico dei servizi d’igiene urbana nell’Ato centro, comprendente anche Empoli –, che ha fatto la sua proposta in risposta all’Avviso pubblico bandito dalla Regione Toscana per definire il nuovo Piano regionale di gestione rifiuti.

Lo scopo primario dell’impianto sarebbe quello di rispondere almeno in parte alla carenza impiantistica dell’Ato centro, corrispondente – guardando solo ai rifiuti urbani indifferenziati e agli scarti della raccolta differenziata – a 400mila t/a, come chiarito dall’assessora Monni (a livello regionale si parla invece di un deficit pari a 597mila t/a solo per i rifiuti secchi, arrivando a oltre 1 mln t/a estendendo il quadro anche a rifiuti organici e fanghi di depurazione, per rispettare gli obiettivi Ue al 2035).

Attorno a quest’ipotesi è stato imbastito un percorso di partecipazione pubblica, prima ancora che fosse disponibile un progetto dettagliato, in modo da coinvolgere fin da subito la popolazione residente e gli stakeholder.

Una volta che l’ipotesi ha così iniziato a prendere concretezza, l’ormai cronica quanto comprensibile sfiducia di una parte della cittadinanza verso istituzioni pubbliche e imprese è stata catalizzata da alcuni neonati comitati – in primis Trasparenza per Empoli – in una protesta che, il 26 novembre, ha portato in piazza circa 2mila persone.

Inizialmente, la richiesta dei comitati era quella di avere a disposizione un progetto da poter fare valutare da soggetti “terzi” e interamente scelti dagli oppositori. Quando Alia si è dunque detta disponibile a «prendere il tempo necessario per definire il progetto definitivo da offrire ad un confronto con tecnici ed esperti individuati dai cittadini e dai comitati, prima ancora della presentazione in Regione», la sindrome Nimby (non nel mio giardino) ha gettato la maschera: a prescindere dai contenuti del progetto, i contrari all’ipotesi l’impianto non lo vogliono.

E dalla sindrome Nimby a quella Nimto (non nel mio mandato elettorale) adesso il passo rischia di essere davvero breve. Due giorni fa la sindaca Brenda Barnini, a valle della direzione territoriale del Pd – lo stesso partito che rappresenta la maggioranza in Regione e che esprime i sindaci di molti dei Comuni che compongono l’Ato centro, a loro volta soci di Alia – ha dichiarato al quotidiano locale La Nazione: «Non decido io. I rifiuti sono competenza della Regione, a cui spetta il compito di decidere, pianificare e localizzare. Se il territorio non condivide la Regione dovrà prenderne atto».

Un riposizionamento che ha trovato l’apprezzamento del comitato Trasparenza per Empoli: «Apprendiamo con contentezza, e anche un po’ di stupore, che la sindaca, come noi, dice no al progetto di questo gassificatore. Siamo contenti che la prima cittadina di Empoli abbracci di nuovo il suo ruolo di rappresentante della comunità e che si faccia portavoce del giusto dissenso che è emerso nella popolazione».

Ma neanche la Regione sembra così desiderosa di decidere: «Il Comune insieme al proponente Alia, che è peraltro società partecipata dal Comune stesso – ha dichiarato ieri l’assessora Monni – ha scelto in autonomia di considerare questa ipotesi progettuale, impostando un lavoro di confronto con la cittadinanza aperto e trasparente. La Regione, come noto, non ha competenze sui rifiuti speciali e quindi su impianti di riciclo e recupero».

La risposta della sindaca, stamani sulle colonne locali de Il Tirreno, non si è fatta attendere: «Noi possiamo anche fermarci qui se di fronte ad una proposta di investimento industriale c’è un rigetto da parte della comunità. La Regione ha scelto di non pianificare gli impianti di smaltimento per i rifiuti urbani (discariche e termovalorizzatori) e di trattare tutto come rifiuti speciali, adesso dovrà comunque fare le sue scelte e pianificare le soluzioni per i rifiuti urbani».

Ma per quale motivo oggi il dibattito politico si affretta a precisare che si parla di rifiuti speciali – ovvero quelli provenienti da attività industriali, commerciali, sanitarie, ecc, e non direttamente dalle case dei cittadini – quando finora è stato ripetuto che l’impianto risponde alle esigenze di Ato centro, dunque dei Comuni, e quindi incentrando il discorso sui rifiuti urbani?

È utile ricordare che le norme individuate dal Testo unico ambientale (dlgs 152/2006) vietano di smaltire rifiuti urbani tal quali. Ma una volta passati attraverso un impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb), voilà: i rifiuti urbani diventano speciali e possono essere affidati al mercato, per andare ovunque, anche al di fuori dell’Ato o Regione di competenza. Lontano dagli occhi e dal cuore dei cittadini. È il cosiddetto “turismo dei rifiuti urbani”, che infatti in Italia percorrono circa 68 milioni di chilometri l’anno.

Del resto, in Toscana un terzo di tutti i rifiuti speciali arriva dal trattamento di altri rifiuti e acque reflue. Ma mentre i rifiuti urbani ricadono nell’ambito della privativa comunale e dunque la loro gestione è (su base diretta o tramite affidamento) in capo alla mano pubblica, i rifiuti speciali sono di norma affidati al mercato. Di fatto però tutta l’infrastruttura impiantistica per la loro gestione, dal riciclo al recupero energetico allo smaltimento, è soggetta e dunque dipende dalle autorizzazioni pubbliche, che in questo caso arrivano (o meno) dalla Regione. Che ha dunque una responsabilità indiretta fondamentale nella gestione (o meno) degli speciali.

Il vecchio Piano rifiuti e bonifiche (Prb) della Toscana è scaduto da anni senza aver centrato nessuno dei principali obiettivi che si era dato, in larga parte per le enormi difficoltà nel realizzare nuovi impianti di gestione – un gap che sta pesando sempre di più sulla Tari pagata da cittadini e imprese –, tra cui spicca il termovalorizzatore di Case Passerini: in quel caso la Regione aveva provato a localizzare un impianto per colmare il gap impiantistico dell’Ato centro, ma ha fallito.

Per stilare il nuovo Piano ha provato stavolta ad adottare, tramite l’Avviso pubblico, un’impostazione “dal basso” per raccogliere le proposte impiantistiche direttamente dai gestori di rifiuti operanti sui vari territori. Ma anche quest’approccio sembra fallimentare, com’è ormai evidente nel caso empolese.

Il risultato finale sembra essere che la cittadinanza, stordita da anni di retorica incentrata solo su concetti come raccolta differenziata, “rifiuti zero” e “plastic free”, adesso è ancora più restia ad accettare nuovi impianti industriali di gestione rifiuti sul proprio territorio (non solo in Toscana). Al contempo la classe politica, dopo anni di continue crisi socioeconomiche mal gestite dalla mano pubblica, ha ormai un capitale di fiducia minimale da poter vantare nei confronti della cittadinanza: così una protesta di 2mila persone diventa sufficiente a mettere spalle al muro un progetto pensato per soddisfare le esigenze di un territorio – l’Ato centro – dove vivono 1,5 milioni di residenti. Il risultato finale, senza una politica in grado di spiegare le proprie ragioni e di reggere il dissenso quando queste non sono gradite dall’auditorio, è che gli impianti non si fanno.

Al momento gli unici soggetti vincenti nel confronto sono i comitati, che si dicono disponibili a “discutere di alternative” sulla gestione rifiuti. Alternative che sono certamente presenti: si chiamano termovalorizzatori, discariche o export, in ordine di sostenibilità ambientale. Basterebbe esserne consapevoli. Occorre sempre fare attenzione ai propri desideri, perché potrebbero avverarsi.

Fonte: ILSECOLOXIX dell’8 agosto 2022

Maire Tecnimont, a MyRechemical contratto ingegneria per impianto metanolo-idrogeno (ilsecoloxix.it)

Maire Tecnimont annuncia che la sua controllata MyRechemical, la società di NextChem dedicata alle tecnologie Waste-to-Chemical, si è aggiudicata un contratto di ingegneria di base per un impianto di metanolo e idrogenoda rifiutidi Alia Servizi Ambientali ad Empoli in Toscana.

Lo scopo del lavoro include l’ingegneria di base dell’impianto e la documentazione necessaria all’avvio del processo autorizzativo presso la Regione Toscana. La fase di ingegneria di base verrà completata entro la fine del 2022.

Una volta autorizzato e completato, l’impianto processerà 256.000 tonnellate all’anno di rifiuti non riciclabili e produrrà 125.000 tonnellate all’anno di metanolo e 1.400 tonnellate all’anno di idrogeno. L’impianto si baserà sulla tecnologia di conversione chimica di MyRechemical che consente di recuperare i rifiuti che non possono essere riciclati meccanicamente o altri tipi di rifiuti secchi indifferenziabili. Il carbonio e l’idrogeno contenuti nei rifiuti sono recuperati attraverso un processo di conversione chimica in gas di sintesi, usato per produrre metanolo e idrogeno a basso impatto carbonico

Il metanolo è utilizzato come combustibile alternativo per la mobilità sostenibile o come materia prima seconda nell’industria chimica e manifatturiera. L’idrogeno può essere utilizzato nei processi industriali per decarbonizzare le industrie energivore e hard-to-abate.

Fonte: Greenreport.it dell’ 8 agosto 2022

Riciclo chimico a Empoli, siglato il contratto di ingegneria di base tra Alia e MyRechemical – Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile

«È la prima applicazione a livello mondiale che consente la produzione di metanolo da rifiuti per la mobilità sostenibile e di idrogeno per sostituire il metano nei processi di produzione del vetro, consentendo sia il riciclo che la simbiosi industriale»

Come annunciato nei giorni scorsi a Empoli, in sede di Consiglio comunale, il progetto del nuovo Distretto circolare basato sul riciclo chimico sarà pronto entro la fine dell’anno, per poi affrontare il percorso autorizzativo in Regione: Alia ha affidato oggi a MyRechemical – la società NextChem (gruppo Maire Tecnimont) dedicata alla tecnologie waste-to-chemicals – il contratto di ingegneria di base da completarsi «entro la fine del 2022».

«Sarà possibile spingere ancora più avanti i limiti della capacità di recuperare materia dagli scarti e dai rifiuti solo con più tecnologia e innovazione. Abbiamo sviluppato, per questo, una partnership strategica con Maire Tecnimont, il meglio nella tradizione della chimica italiana – commenta nel merito Alberto Irace, ad del gestore unico dei servizi d’igiene urbana nella Toscana centrale – Questo è un esempio di alleanza strategica per la circolarità in cui si uniscono Maire Tecnimont, Zignago, Suez ed Alia, eccellenze della tecnologia e dell’industria, per disegnare e realizzare il futuro sostenibile».

Se sarà autorizzato, l’impianto gestirà ogni anno 256mila ton di rifiuti non riciclabili meccanicamente (come il Combustibile solido secondario – Css, o il plasmix): il carbonio e l’idrogeno contenuti nei rifiuti saranno recuperati attraverso un processo di conversione chimica ottenendo un gas di sintesi (syngas), dal quale poter poi ricavare metanolo e idrogeno a basso impatto carbonico.

Più nel dettaglio, da 256mila t/a di rifiuti sarà possibile ottenere 125mila t/a di metanolo (impiegabile come combustibile alternativo per la mobilità sostenibile o come materia prima seconda nell’industria chimica e manifatturiera) e 1.400 t/a di idrogeno (che può essere utilizzato nei processi industriali per decarbonizzare le industrie energivore e hard-to-abate). Tutti aspetti che saranno approfonditi (anche) durante il percorso partecipativo sul progetto, in avvio a ottobre.

«Questa è una tra le iniziative waste-to-chemical più interessanti che Maire Tecnimont sta sviluppando in Italia – spiega l’ad del gruppo e di NextChem, Alessandro Bernini – È la prima applicazione a livello mondiale di uno schema tecnologico integrato che consente la produzione di metanolo da rifiuti per la mobilità sostenibile e di idrogeno per sostituire il metano nei processi di produzione del vetro, consentendo sia il riciclo che la simbiosi industriale».

Non a caso il Distretto circolare empolese dovrebbe sorgere nella zona industriale del Terrafino, in prossimità sia della vetreria Zignago sia degli impianti Revet, la controllata Alia che a Pontedera convoglia le raccolte differenziate degli imballaggi (plastica, vetro, alluminio, acciaio e poliaccoppiati come il tetrapak) di oltre 200 Comuni toscani: sempre a Pontedera Revet avvia già a riciclo (meccanico) il 62% del plasmix raccolto, mentre la parte non riciclabile meccanicamente potrebbe essere valorizzata tramite riciclo chimico, anziché andare a discarica o termovalorizzazione.

Fonte: Economy dell’8 agosto 2022

MyRechemical produrrà metanolo e idrogeno dai rifiuti a Empoli – Economy Magazine

Un impianto che tratterà 256.000 tonnellate all’anno di rifiuti non riciclabili e produrrà metanolo circolare e idrogeno circolare, grazie alla tecnologia Waste-to-Chemical di MyRechemical. È quello che sarà realizzato a Empoli da Maire Tecnimont S.p.A, attraverso la sua controllata MyRechemical, la società di NextChem dedicata alle tecnologie Waste-to-Chemical, che si è aggiudicata da Alia Servizi Ambientali S.p.A. un contratto di ingegneria di base. Si tratta di un impianto di metanolo e idrogeno da rifiuti. Questo particolare tipo di trattamento consente un’operazione di recupero, laddove non sempre nel ciclo dei rifiuti è possibile.

Lo scopo del lavoro include l’ingegneria di base dell’impianto e la documentazione necessaria all’avvio del processo autorizzativo presso la Regione Toscana. La fase di ingegneria di base verrà completata entro la fine del 2022. 

Saranno prodotti metanolo e idrogeno dai rifiuti

Una volta autorizzato e completato, l’impianto processerà 256.000 tonnellate all’anno di rifiuti non riciclabili e produrrà 125.000 tonnellate all’anno di metanolo e 1.400 tonnellate all’anno di idrogeno. L’impianto si baserà sulla tecnologia

di conversione chimica di MyRechemical che consente di recuperare i rifiuti che non possono essere riciclati meccanicamente o altri tipi di rifiuti secchi indifferenziabili

(Combustibile Solido Secondario – CSS). Il carbonio e l’idrogeno contenuti nei rifiuti sono recuperati attraverso un processo di conversione chimica in gas di sintesi, usato per produrre metanolo e idrogeno a basso impatto carbonico. Il processo evita le emissioni di inquinanti in atmosfera. Il metanolo è utilizzato come combustibile alterativo per la mobilità sostenibile o come materia prima seconda nell’industria chimica e manifatturiera. L’idrogeno può essere utilizzato nei processi industriali per decarbonizzare le industrie energivore e hard-to-aba. L’impianto ha anche una valenza in chiave di decarbonizzazione, un’operazione, che viene richiesta sempre più spesso agli stati in un’ottica di svolta green per il pianeta. In un momento particolare di crisi energetica, questo tipo di impianto assume quindi una particolare importanza.

Un impianto all’avanguardia 

Alessandro Bernini, Amministratore Delegato del Gruppo Maire Tecnimont e di NextChem, ha commentato: “Questa è una tra le iniziative waste-to-chemical più interessanti che Maire Tecnimont sta sviluppando in Italia. È la prima applicazione al livello mondiale di uno schema tecnologico integrato che consente la produzione di metanolo da rifiuti per la mobilità sostenibile e di idrogeno per sostituire il metano nei processi di produzione del vetro, consentendo sia il riciclo che la simbiosi industriale. Risponde al bisogno centrale dell’economia circolare e crea le basi di una nuova era del rifiuto come risorsa”.

“Sarà possibile spingere ancora più avanti i limiti della capacità di recuperare materia dagli scarti e dai rifiuti solo con più tecnologia e innovazione. Abbiamo sviluppato, per questo, una partnership strategica con Maire Tecnimont, il meglio nella tradizione della chimica italiana”, ha dichiarato Alberto Irace, Amministratore Delegato di Alia. “Questo è un esempio di alleanza strategica per la circolarità in cui si uniscono Maire Tecnimont, Zignago, Suez ed Alia, eccellenze della tecnologia e dell’industria, per disegnare e realizzare il futuro sostenibile”.

Fonte: IlSole24Ore del 3 agosto 2022

Benzina dalla spazzatura, così Empoli investe sull’ambiente – Il Sole 24 ORE

Dall’immondizia un gas di sintesi dal quale estrarre carburanti, idrogeno e altre materie prime. Accordi con Maire Tecnimont e vetrerie Zignago.

Quando dicono che dal letame nascono i fiori, ecco un esempio. A Empoli (Firenze) l’immondizia sarà trasformata in un gas di sintesi dal quale estrarre senza partire dal petrolio le materie più importanti per l’industria chimica, come il metanolo, e materie prime energetiche per la fusione del vetro, come l’idrogeno. Non basta. Il progetto nel suo complesso prevede un investimento da 400 milioni, è promosso dall’azienda di nettezza urbana Alia, usa le tecnologie innovative della multinazionale milanese dell’ingegneria Maire Tecnimont, destinerà una parte dei prodotti alla vetreria Zignago adiacente, sarà elegantemente allestito dall’archistar Marco Casamonti e vi è un processo partecipativo con i cittadini, i quali potranno nominare i loro rappresentanti nell’organo che realizzerà il progetto.

L’impianto di gassificazione e riciclo

I dettagli. L’Alia Servizi Ambientali, che svolge le attività dei rifiuti e del riciclo nella Toscana centrale, vuole realizzare un “distretto circolare” nella zona industriale di Terrafino, dove ci sono già lavorazioni di riciclo e dove c’è la vetreria del gruppo Zignago. Ottenuta l’autorizzazione, i lavori dureranno 30 mesi con 400 milioni di impegno di spesa. La capacità di progetto è di 250mila tonnellate di rifiuti l’anno. Negli impianti saranno impegnate 200 persone, indotto compreso.

Materie prime per l’industria

Il progetto ha molti risvolti industriali, a cominciare dalle tecnologie per produrre materie prime di origine non fossile. Però ci sono anche le forniture di servizi alle fabbriche dell’area industriale come il calore, il ciclo delle acque, l’alimentazione dei forni di vetreria usando l’idrogeno ricavato dai rifiuti. Il metanolo può essere usato per sintetizzare idrocarburi come benzina e gasolio ma non fossili e a impatto climatico zero.

Dal riciclo all’upcycling

Il modello waste-to-chemicals, una delle linee tecnologiche della Maire Tecnimont e della sua controllata NextChem, è oltre la convenzione del riciclo e fa parte del cosiddetto “upcycling” cioè, invece di ottenere un prodotto rigenerato, usa lo scarto per ottenere prodotti con caratteristiche molto migliori.

Fonte Greenreport.it del 3 agosto 2022

Economia circolare, passi avanti per il Distretto di Empoli: entro l’anno il progetto definitivo – Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile

Barnini: «Ringrazio l’ad e il presidente di Alia, con questo nuovo incontro ci hanno dato riscontro positivo ad alcune delle istanze avanzate dal Consiglio comunale»

eri nel Consiglio Comunale di Empoli (qui la registrazione integrale della seduta) l’economia circolare è tornata protagonista, approfondendo l’evoluzione del Distretto che presto potrebbe nascere in città per dare nuova vita – tramite riciclo chimico – a quei rifiuti altrimenti destinati a inceneritori e discariche, o peggio all’export.

I vertici di Alia – il gestore 100% pubblico dei servizi d’igiene urbana nella Toscana centrale, capofila dell’Alleanza che sostiene la nascita del Distretto circolare – sono tornati infatti a ragguagliare il Consiglio sulla roadmap del progetto, osservato con interesse da tutte le forze politiche presenti in Aula.

«Ringrazio l’amministratore delegato e il presidente di Alia che con questo nuovo incontro ci hanno dato riscontro positivo ad alcune delle istanze avanzate dal Consiglio comunale del 26 aprile – dichiara il sindaco, Brenda Barnini – Tra queste avevamo posto la necessità di un procedimento trasparente e che coinvolgesse i cittadini e va in questa direzione la nascita del comitato di partecipazione», ovvero il Resident advisory board (Rab), che inizierà ad insediarsi ad ottobre.

Il Rab sarà composto da 7 membri istituzionali e da 8 provenienti dalla società civile; grazie alla collaborazione con Avventura Urbana e sulla scorta delle esperienze già maturate a Ferrara, Bassano del Grappa e Sesto San Giovanni, il Rab sarà un comitato consultivo con il compito di monitorare la nascita del Distretto, dalla fase di progettazione e costruzione fino all’esercizio. «Abbiamo offerto alle istanze emerse dal Consiglio Comunale alcune proposte puntuali per coinvolgere il territorio, dalle istituzioni alla comunità – argomenta il presidente di Alia, Nicola Ciolini – perché riteniamo che il ruolo dei cittadini sia fondamentale per portare avanti la grande sfida della transizione ecologica sul nostro territorio».

Dopo gli aspetti di partecipazione, anche quelli progettuali sono stati posti in primo piano. «L’altro punto forte che era stato evidenziato – osserva nel merito Barnini – riguardava l’attenzione all’inserimento paesaggistico e l’incarico all’architetto Casamonti rappresenta la migliore scelta che potesse essere fatta. Infine, la collaborazione del professor Mancuso va nella direzione di fare di questo investimento un’opportunità di crescita dell’attenzione alla tutela ambientale del territorio. L’illustrazione del cronoprogramma chiarisce anche quelli che saranno i successivi passaggi e la assoluta centralità che rimarrà in capo al Consiglio comunale».

Ieri è stato infatti presentato il team di progettazione del Distretto, capitanato da due star: l’architetto Marco Casamonti (Università di Genova) e il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso (Università di Firenze. Insieme, sono chiamati a dare forma e fruibilità ad un polo industriale che non ambisce “solo” a gestire i rifiuti in modo sostenibile, ma anche a diventare un punto di riferimento inclusivo per la cittadinanza.

«Abbiamo messo in campo le migliori soluzioni tecnologiche sul mercato in termini di innovazione e sostenibilità ambientale per poter dare un contributo decisivo al territorio, per chiudere il ciclo, abbattere le emissioni e ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica. Grazie alle competenze dell’Alleanza circolare, ai partner come Maire Tecnimont-NextChem, Suez, Zignago Vetro, e al coinvolgimento dell’architetto Marco Casamonti e al prof. Stefano Mancuso, lavoriamo assieme all’amministrazione per realizzare un impianto di alto valore architettonico e sostenibile, che possa essere un modello nel campo dell’economia circolare», sintetizza l’ad di Alia, Alberto Irace.

Il Distretto si propone di valorizzare oltre 250mila t/a di rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente (come Css e scarti plastici tipo plasmix), ricavandone prodotti circolari: nel caso di Empoli si parla di 130mila t/a di metanolo, che «può essere utilizzato sia nella realizzazione di biocarburanti e carburanti a carbonio riciclato, sia nei cicli produttivi dell’industria chimica, seguendo gli indirizzi della direttiva europea Red II per la decarbonizzazione; e in prospettiva l’idrogeno, attraverso una forte integrazione con le filiere locali del vetro», data la vicinanza dell’area dove dovrebbe sorgere il Distretto – quella industriale del Terrafino – con la vetreria Zignago.

Con quali tempistiche? Dopo l’avvio del Rab previsto in autunno, la presentazione del progetto definitivo è «prevista entro la fine dell’anno». Poi il cronoprogramma prevede, superate tutte le fasi autorizzative, un periodo di costruzione della durata di circa 30 mesi, con un investimento previsto di circa 400 milioni di euro, impiegando circa seicento addetti in fase di costruzione e circa duecento occupati, tra diretti e indiretti, a regime.

Fonte: Quotidiano di Gela del 26 giugno 2022

Impianto rifiuti, Scerra non chiude: “Dire no è facile per chi è in campagna elettorale” | Quotidiano di Gela

Gela. Nessun no a priori, ma forse un “quasi sì”. È quello che emerge dopo l’intervento di ieri, che il consigliere comunale Salvatore Scerra ha concentrato nell’ultima parte del monotematico sull’impianto rifiuti per la Sicilia occidentale. Il consigliere, che è intervenuto per la prima volta dopo i fatti dell’inchiesta Ipab, ha voluto prendere le distanze “sia dai pro-no che dai pro-sì”. “Il cambiamento fa sempre paura e la cosa più facile che si può fare è dire no”, ha spiegato. Secondo l’esponente di centrodestra, c’è la necessità di approfondire ma anche di avere garanzie. “Un sistema di questo tipo deve inserirsi in un territorio con un porto fruibile, con infrastrutture e con la garanzia di una maggiore attenzione alle maestranze locali e con agevolazioni sulla Tari. La Regione sta cercando soluzioni all’emergenza rifiuti. Ho apprezzato gli interventi del senatore Pietro Lorefice e dell’ingegnere Giacomo Rispoli. Il Movimento cinquestelle si è posto contro l’impianto e ne ha spiegato le ragioni. Il Pd è in campagna elettorale e se a Roma ha deciso per il termovalorizzatore, in Sicilia è invece contrario. E’ un tema sul quale non si può fare populismo. Sono abituato a leggere gli atti e a confrontarmi con esperti. Però, se ci fossero le garanzie per le infrastrutture, per un risvolto occupazionale e per agevolazioni per i cittadini, potrebbe diventare un investimento che inciderà economicamente sul territorio. I manager delle aziende hanno spiegato che non ci sarà impatto ambientale o quantomeno sarà assai limitato. Oggi, chi denuncia il disastro ambientale per le attività di Eni magari ha lavorato per trent’anni con Eni. Bisogna essere coerenti”. Nella visione di Scerra, quindi, un impianto di questo tipo, con le dovute garanzie ambientali e occupazionali, potrebbe diventare un esempio da seguire anche altrove. “Perché dobbiamo sempre essere noi a copiare da altri o ad ambire ad arrivare dove altri sono già arrivati – conclude – siamo in un territorio che dopo la fine del ciclo tradizionale della raffinazione non sa ancora quale sarà il proprio focus economico. Investimenti e sostenibilità ambientale possono trovare un punto di congiunzione, consentendo una ripartenza economica, anche in settori importanti come l’agricoltura. Dire no, a prescindere, è sempre la cosa più facile”.