Distretto Circolare Verde

Il mondo delle imprese deve affrontare la crisi del coronavirus, continuando la transizione energetica verso le rinnovabili.

Quale dovrebbe essere l’azione delle imprese per la transizione energetica nel contesto del Coronavirus? Ne abbiamo parlato con Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Maire Tecnimont Group e di Nextchem.

Quali effetti avrà la pandemia nel mondo delle imprese e sul loro rapporto con la sostenibilità?


«È chiaro che lo scenario delineatosi della crisi globale causata dall’epidemia di Coronavirus ha effetti recessivi sull’economia mondiale. Per contro, è ormai evidente anche l’impatto del lockdown e del rallentamento delle attività economiche sulle emissioni di CO2. In Italia si stima che la riduzione di emissioni nel primo trimestre del 2020 sia nell’ordine del 5-7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, mentre alcune analisi prefigurano una caduta molto più alta delle emissioni in Cina. Nel prossimo periodo la priorità dell’industria sarà probabilmente la riduzione dei costi, specie di quelli delle materie prime e l’attenzione rispetto al problema dell’impatto climatico potrebbe essere più debole del periodo antecedente alla crisi. Bisogna però tener conto che questa flessione nelle emissioni climalteranti è insostenibile nel lungo periodo: quando gli effetti del Coronavirus saranno un ricordo, il mondo si troverà a doversi confrontare di nuovo con l’aumento della temperatura del Pianeta e con le conseguenze dei cambiamenti climatici. La riduzione stabile delle emissioni è un processo che matura nel lungo periodo e attiene a una vision più ampia, che è quella sulla quale dobbiamo riflettere».


In questo momento ci sono molte pressioni per una ripresa rapida a tutti i costi, perché si deve mantenere una visione a lungo termine?

«Diversi esperti ritengono che questa crisi vada vista come un’opportunità per guidare il mondo verso una direzione sostenibile. La sfida è riuscire a programmare una ricostruzione che sia rapida ma anche duratura, preparando il sistema industriale alla riduzione dei rischi e delle perdite economiche derivanti dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dall’impatto che questi hanno e avranno su molti settori. Questi rischi ormai non sono più intangible: sono rischi concreti, già oggi considerati di segno negativo nelle valutazioni dei fondi di investimento. Il Coronavirus sta mostrando quanto fragile sia il nostro sistema e cosa accade al mondo quando un rischio sistemico improvvisamente diventa realtà. I capitali privati saranno sempre più attratti da investimenti sostenibili a lunga gittata su tecnologie green e innovative che sono la chiave delle economie del futuro – economie che devono essere resilienti – piuttosto che investendo sul mantenimento dello status-quo. L’innovazione è la leva della crescita economica e oggi l’innovazione s’indirizza verso quelle tecnologie capaci di creare valore duraturo in un mondo realmente sostenibile, “a prova di futuro”. Non vi è alcun dubbio su quanto ci si debba sforzare di guardare al domani. Il nostro ‘domani’ deve essere a trent’anni: è questo il momento per mettersi a lavorare a una pianificazione di grande respiro, che avvii un ciclo d’investimenti a lungo termine. È un’occasione storica perché i politici possano essere efficaci policy maker».

L’intervento pubblico dovrebbe sostenere la transizione energetica? Non ci si può affidare solo al mercato?


«Le innovazioni sostenibili devono essere introdotte come interventi di sostegno a industrie colpite dallo shock del Coronavirus. Gli aiuti che verranno dai Governi nel prossimo futuro dovranno privilegiare il supporto agli investimenti ad alta intensità di capitale per tecnologie industriali sostenibili e a bassa intensità di carbonio. Il sostegno pubblico non può essere concepito soltanto in base all’efficacia nel breve periodo, ma deve essere finalizzato a creare le condizioni per realizzare infrastrutture e progetti industriali di rilievo che possono risolvere problemi strutturali del Paese, aiutare la conversione dell’industria tradizionale e pesante a tecnologie a minor impatto di carbonio, promuovere la riqualificazione verde di siti brownfield d’interesse nazionale. Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, chiede espressamente che l’energia pulita sia il cuore dei piani di sostegno volti a contrastare la crisi Coronavirus, ma questa è anche la posizione di un numero crescente di economisti, esperti e rappresentanti di imprese. Lo stesso tema è oggetto della recente piattaforma lanciata a livello europeo, l’Alleanza Europea per la Ricostruzione Verde, che riunisce decine di opinion leader, Istituzioni e capi d’azienda di tutta Europa, nonché del manifesto lanciato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile di cui siamo tra i soci fondatori, e anche dell’appello della Fondazione Symbola ai firmatari del Manifesto di Assisi sul clima, tra i quali figuriamo anche noi. Il dibattito stesso in merito al Green New Deal Europeo, se sia meglio bloccarlo o mandarlo avanti, è un non-sense: se dobbiamo aiutare l’economia a uscire da questo buco nero, conviene farlo in modo sostenibile».

Nel concreto cosa si dovrebbe fare?

«Occorre invitare i Governi ad agevolare in modo più coraggioso investimenti sostenibili che consentono di risparmiare risorse naturali declinando il paradigma della circolarità, a sostenere le tecnologie di riciclo, supportare la produzione di prodotti per l’industria e il commercio realizzati con materie prime a base biologica e non fossile, a promuovere la produzione di prodotti chimici dal riciclo di scarti e rifiuti.

Dovrebbero essere introdotte misure efficaci per agevolare interventi sui processi industriali volti alla sostituzione di cariche di origine fossile con quelle rinnovabili e alla cattura e recupero della CO2 prodotta. Dovrebbero essere introdotti strumenti di fiscalità premianti per quei processi che migliorano l’efficienza energetica e l’impronta di carbonio, rendendo le industrie più competitive perché meno esposte a rischi futuri. In altre parole, questo è il momento di passare dalla fase di mobilitazione emozionale a una fase concreta o operative: occorre “mettere le mani nel motore” e trasformare l’ondata di consenso dell’opinione pubblica in un set di politiche industriali nuove. Serve un quadro normativo che crei le precondizioni per l’impiego dei capitali verdi che saranno disponibili in modo sempre più massiccio. Serve per esempio una corsia preferenziale per le autorizzazioni a infrastrutture e impianti verdi e circolari. Serve una norma stringente sulle emissioni di CO2 che sia in grado di indurre la monetizzazione delle emissioni climalteranti evitate nel conto profitti & perdite di un’azienda».

Quale dovrebbe essere la ricetta per far ciò?

«Le economie nazionali dovranno diventare più resilienti a shock come questo del Coronavirus, perché è indispensabile per un Paese essere autonomo dal punto di vista industriale. Con la chimica verde si può creare un paniere di beni prodotti localmente, disponibili nel Paese e in grado di garantire l’autosufficienza. Nessuno vuole mettere in discussione i vantaggi della globalizzazione, ma di certo occorre iniziare

a ragionare in un’ottica più ‘regionalistica’, cercando di trovare il giusto equilibrio per una gestione intelligente delle risorse. Come? Implementando l’economia circolare per risparmiare risorse naturali, recuperando la maggior quantità possibile di materiali post-consumo che sono un vero e proprio tesoro di molecole preziose e riducendo in tal modo la nostra dipendenza da altri Paesi per l’approvvigionamento di materie prime. Bisogna iniziare a ragionare sullo sviluppo di tecnologie green in un’ottica di prossimità con la biomassa che sarà usata come carica – e la disponibilità di biomasse è la vera sfida per l’economia sostenibile del futuro – aiutando in tal modo anche le economie locali. Occorre ridurre lo spreco energetico e le emissioni di CO2 con l’applicazione di tecnologie a
basso impatto di carbonio e con l’upgrading sostenibile delle apparecchiature industriali esistenti. La transizione a nuove forme di energia combinata con il nostro know-how e la nostra imprenditorialità sono una ricetta rivoluzionaria. Allo stesso tempo, il balzo in avanti nella digitalizzazione è una soluzione disruptive per valorizzare il capitale umano del nostro Paese».

Come azienda come vi muoverete?

«NextChem, l’azienda del Gruppo Maire Tecnimont dedicata alla chimica verde, ha sviluppato soluzioni in tutte queste direzioni. La nostra tecnologia proprietaria di Upcycling consente di ottenere una perfetta circolarità poiché permette la trasformazione di rifiuti plastici post-consumo in polimeri ad alte prestazioni che possono sostituire la plastica vergine. Le nostre tecnologie a base bio per la chimica verde consentono l’integrazione con impianti esistenti per produrre intermedi e biocarburanti da oli e grassi residui. Le nostre tecnologie di riciclo chimico permettono la produzione di gas circolare, idrogeno circolare, metanolo e altre preziose molecole da scarti plastici e secchi non riciclabili, con un doppio beneficio, sia sul fronte della circolarità sia sul taglio della CO2, senza trascurare la sostenibilità sul piano economico.

Inoltre, NextChem è impegnata nello sviluppo di un Modello di Distretto Circolare che include tecnologie proprietarie e licenziate in uno schema integrato, con sinergie operative, significative e vantaggi ambientali rilevanti. Il Modello di Distretto Circolare può essere una soluzione distintiva per siti industriali brownfield che debbano essere decarbonizzati o riqualificati con un’impronta ambientalmente più sostenibile, per industrie energivore e tradizionalmente fossili, come quelle dell’acciaio, del vetro, della gestione rifiuti e petrolchimica. Un ingrediente della resilienza è anche la capacità di digitalizzare il più possibile tutti i settori della nostra economia. Maire Tecnimont è stata tra le prime società del suo settore ad adottare le più avanzate tecnologie Ict per le infrastrutture di Gruppo. Ciò ha consentito a Maire Tecnimont di poter affrontare la situazione corrente con un approccio ‘adattivo’».

In conclusione come bisogna agire?

«Penso sia il momento di condividere con i principali decision maker livello sia istituzionale sia di business, un piano importante per la ricostruzione industriale che abbia un impatto positivo sull’economia, sulla società e sull’ambiente. Nessuno dimenticherà questi giorni bui per l’impatto devastante che hanno avuto in termini di vite umane, di disoccupazione, di sofferenza delle imprese. Oggi abbiamo la possibilità per far sì che questi giorni siano ricordati anche per l’impulso che saremo stati in grado di dare a ciò che i nostri Paesi non sarebbero mai stati capaci di fare in tempi normali».

NextChem (Gruppo Maire Tecnimont) presenta un modello avanzato per affrontare in modo ambientalmente ed economicamente sostenibile tre delle più grandi sfide del futuro.

di Sergio Luciano

Pianeta Terra, anno 2025. L’auto è ferma davanti al distributore di idrogeno e sta facendo rifornimento. Una brezza leggera si alza, portando un profumo di fiori che l’idrogeno, completamente inodore, non copre. Il cielo è terso, la città è una delle meno inquinate al mondo: cinque anni fa ha scelto la via della transizione energetica e sostituito combustibili e carburanti fossili con l’uso di energie rinnovabili e di prodotti bio-chimici e circolari.

Alle spalle del distributore un treno merci fa il suo ingresso nel Distretto Circolare: trasporta materiali plastici, in parte scarti industriali, imballaggi di prodotti industriali, commerciali, agricoli che non sono più utilizzabili e devono essere riciclati, e in parte materiali plastici che sono state scartati dal processo di selezione della raccolta differenziata ma che sono troppo preziosi per essere bruciati e che non trovano altra destinazione, perché le discariche sono state chiuse. I materiali vengono scaricati dai vagoni ed entrano in un sistema integrato “modello”, uno dei primi al mondo, un caso di eccellenza.

I rifiuti plastici “migliori” sono trasformati in nuova materia prima, sottoforma di granuli che verranno usati per produrre nuovi oggetti di plastica. I rifiuti plastici e secchi non recuperabili fisicamente entrano in un convertitore chimico che “preleva” le molecole di carbonio e di idrogeno e le trasforma in un gas di sintesi, un gas “circolare”, che poi a sua volta viene trasformato  in idrogeno, un idrogeno “circolare”.

L’impianto abbatte le emissioni di CO2, che potrebbero avere effetti “serra” e far conseguentemente aumentare la temperatura sul pianeta, provocando cambiamenti repentini del clima che causerebbero danni ad intere popolazioni. L’energia che serve è prodotta da fonti rinnovabili che alimentano anche un elettrolizzatore che produce idrogeno dall’acqua. L’idrogeno prodotto viene immesso nel processo produttivo di una Bio-raffineria, ma viene anche utilizzato per alimentare la rete di distribuzione al servizio della mobilità sostenibile cittadina. Quello che ieri era un rifiuto, è tornato ad essere un prodotto utile alla società, senza impatto sull’ambiente. Quello che oggi è un carburante è una fonte di energia intelligente e pulita, ieri era uno scarto. Non è un film, non è Star Trek, né un museo della scienza o un parco a tema. È il racconto di quanto potrebbe già essere realtà, di un progetto che potrebbe concretizzarsi tra pochi anni, anche nel nostro Paese, che anzi potrebbe essere il primo Paese al mondo ad adottare un modello del genere. Si tratta del modello di Distretto Circolare di NextChem, la società che il Gruppo Maire Tecnimont, leader nell’engineering del settore del downstream oil&gas, ha creato due anni fa per affrontare la sfida della transizione energetica, attraverso l’ingegnerizzazione di soluzioni industriali per la decarbonizzazione e la chimica verde.

Il modello è pensato anche per il rilancio green dei cosidetti siti brownfield: chimici, petrolchimici e siderurgici

Il modello di NextChem è pensato proprio per dare una risposta alle sfide principali di questi anni, quella della decarbonizzazione, per mantenere nei limiti la temperatura del pianeta; quella dell’economia circolare, per trasformare gli scarti in nuove risorse e usare queste nuove risorse nei processi produttivi riducendo parallelamente l’estrazione di materie prime e risorse naturali. E infine quella della mobilità sostenibile.

Il modello è anche pensato per un rilancio Green di siti industriali cosiddetti brownfield, prevalentemente siti industriali chimici, petrolchimici o siderurgici, che devono avviare o consolidare il proprio percorso di transizione energetica e ridare vita e futuro alle proprie attività, un futuro sostenibile.

Le tecnologie alla base di questo modello, tecnologie esistenti e provate, sono state integrate da NextChem, che sta già sviluppando per Eni i primi due progetti di impianti per la produzione di idrogeno e di metanolo da conversione chimica di plastiche e materiale secco da rifiuto. Questi impianti nasceranno rispettivamente presso le raffinerie di Porto Marghera e di Livorno.

La tecnologia di produzione di gas di sintesi e di idrogeno da materiali plastici e secchi di scarto si basa su un processo di ossidazione parziale, seguito da una successiva fase di purificazione, che consente di non produrre inquinanti. Il Gas Circolare che si ottiene da questo processo può essere utilizzato come tale, per le sue qualità riducenti, all’interno di processi produttivi come quello siderurgico, in sostituzione di gas di sintesi prodotto da metano o di derivati del carbone (come il polverino di carbonio), abbattendo le emissioni “climalteranti” generate, e con un costo inferiore. Il Gas Circolare può inoltre essere utilizzato come base per la produzione di “idrogeno circolare”, o metanolo, o una molteplicità di altri composti chimici fondamentali per l’industria.

Altro ”pezzo” del Distretto Circolare di NextChem è la tecnologia che consente di riciclare “fisicamente” i rifiuti plastici, una tecnologia proprietaria che si chiama MyReplast e che è stata installata in un impianto industriale sito a Bedizzole, in provincia di Brescia. In questo impianto da 40.000 tonnellate di capacità annua e dal 95% di efficienza di riciclo vengono prodotte polimeri riciclati di qualità in grado di sostituire polimeri vergini di origine fossile.

Nel disegno circolare di NextChem non può mancare l’idrogeno verde prodotto attraverso l’elettrolisi, utilizzando fonti rinnovabili: il Gruppo Maire Tecnimont sta perseguendo con grande imprenditorialità e con un ruolo di “front runner” l’applicazione della tecnologia dell’elettrolisi per la produzione di idrogeno green, la versione più sostenibile dell’idrogeno, con emissioni zero di CO2.

NextChem, con questa proposta, disegna un modello del futuro che è realizzabile già oggi, con tecnologie collaudate e con una sostenibilità di tipo anche economico. È una proposta modulare, che si adatta ai contesti locali e che può prevedere un’integrazione per fasi successive.

La proposta di Nextchem disegna un modello di futuro che è realizzabile già oggi con tecnologie collaudate

«È una sfida, quella della transizione energetica, che richiede approcci visionari ma consolidati, soluzioni resilienti e sicure», dichiara  Pierroberto Folgiero, Ceo di Maire Tecnimont e di NextChem. Maire Tecnimont, nel suo percorso di Green acceleration, vuole mettere a disposizione di questa sfida ambientale il grandissimo know how ingegneristico che il gruppo ha nell’impiantistica chimica tradizionale. E per questo ha creato una società ad hoc, NextChem: per poter offrire al mercato competenze specialistiche per progetti ingegneristici nell’area della chimica verde. «La nostra intuizione è stata quella di andare sulle nostre competenze core, plastica e prodotti chimici, ripercorrere la strada all’indietro, capire come potevamo fare per “smontarli” e rimontarli partendo da feedstock non fossili, dunque di origine biologica e rinnovabile, o di origine circolare, ovvero trasformando scarti in materia prima. Abbiamo cercato di colmare il gap tra il costo dei prodotti fossili e il costo dei prodotti green, perché siamo convinti che gli investimenti verdi debbano essere produttivi e redditivi» prosegue Folgiero. «Occorre in altre parole confezionare business case che siano sempre più attraenti per i capitali verdi: ci sono stati cambiamenti oserei dire “epocali” nella mentalità degli investitori, oggi sono possibili operazioni che fino a qualche anno fa erano impensabili, ma dall’altro lato occorre trasformare la mobilitazione green in industria, le opinioni in fatti e numeri, e i numeri devono essere di segno positivo».

Un orizzonte vicino e concreto, quello della transizione energetica, che nella fase del post Coronavirus sarà ancora più apprezzato, più sentito, più necessario, per rilanciare l’economia in chiave green, in linea anche con gli indirizzi dell’Unione Europea, ricostruire il tessuto industriale con un approccio moderno, per creare nuovi posti di lavoro e nuove competenze e per rendere più autonomo dal punto di vista energetico ed industriale il nostro Paese. «Il periodo che ci attende sarà estremamente sfidante», dichiara Fabrizio Di Amato, Fondatore e Chairman di Maire Tecnimont, un Gruppo da oltre 9.000 tra dipendenti e collaboratori nel mondo, di cui 3.000 solo in Italia, con un Dna tutto italiano e una supply chain che privilegia il Made in Italy e verso il quale ha una grande attenzione e cura. «Dobbiamo utilizzare questo momento di crisi per ricostruire un’Italia diversa, più moderna, più attrattiva per gli investimenti, meno burocratica, laddove la burocrazia di per sé non è un disvalore, ma deve essere al servizio della crescita del Paese e non un ostacolo. I progetti che fino a ieri potevano essere percepiti come visionari, oggi devono essere considerati con occhi diversi: per rilanciare l’economia dobbiamo proiettarci nel futuro, con grande spirito unitario e imprenditoriale».

ECONOMIA CIRCOLARE: UNA RIVOLUZIONE CON AL CENTRO UNA NUOVA CULTURA D’IMPRESA

di Pierroberto Folgiero

L’economia circolare è di fatto un nuovo paradigma, un nuovo approccio culturale che consente di rendere sostenibile l’economia di mercato, non rinunciando alla crescita ma facendo in modo che tale crescita sia compatibile con la limitatezza delle risorse naturali e con gli equilibri delicati del pianeta. Un nuovo paradigma che è una quarta rivoluzione industriale, dopo quelle del carbone, delle macchine automatiche e della digitalizzazione; una rivoluzione che si porta dietro un profondo cambio di visione e di ruolo dell’impresa. La responsabilità del produttore lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, principio fondante della circular economy e dell’assetto normativo europeo in materia, impone un ripensamento profondo della progettazione dei prodotti, delle tecniche produttive, degli approvvigionamenti di materiali, finanche del modello di business. La disponibilità di materia seconda consente una maggiore indipendenza di imprese e Paesi da economie estere e permette di riconnettersi con i territori. Una circolarità “a km zero”, in cui l’elemento di disturbo del circuito virtuoso è più evidente, non rischia di scomparire nella vastità di un’economia globalizzata, dove i buoni e cattivi comportamenti sono facilmente individuati e sanzionati, a beneficio di un’etica economica che non è “buonismo”, ma uso consapevole, razionale  e ottimale delle risorse.

Usarli per produrre prodotti chimici “circolari”, in nuovi distretti industriali come quelli progettati da NextChem in Italia.

Non tutta la plastica che gettiamo nei bidoni della raccolta differenziata viene riciclata. Non tutti gli imballaggi o i contenitori in plastica sono facilmente riciclabili. Se poi si pensa ai tanti oggetti in plastica che gettiamo nei cassonetti dell’indifferenziato, la cosa si complica ancora di più. Quando si parla di rifiuti di plastica infatti si fa riferimento a una molteplicità di oggetti fatti di polimeri diversi: sebbene tutti ottenuti a partire dal petrolio, non possono essere riciclati nello stesso modo, con la stessa resa. I rifiuti in plastica complessi da riciclare fanno una fine diversa: in Italia, vengono separati dalla plastica riciclabile e vanno a recupero energetico negli inceneritori, oppure in alcuni casi finiscono ancora in discarica. Un’altra alternativa però esiste: il riciclo chimico.

Cos’è il riciclo chimico

I rifiuti di plastica non riciclabili possono essere riutilizzati grazie a trattamenti che riescono a recuperare il carbonio e l’idrogeno che contengono attraverso un processo di conversione chimica, che prevede l’uso di ossigeno e nessuna forma di combustione. Ciò che si ottiene è il gas di sintesi, un prodotto chimico che viene usato nell’industria chimica come elemento di partenza per realizzare altri prodotti chimici.

Il gas di sintesi ottenuto con il riciclo chimico può infatti essere usato come combustibile oppure per la produzione di altre sostanze, come l’idrogeno, il metanolo e l’etanolo. A loro volta questi prodotti sono usati come carburanti o come “ingredienti” nei processi chimici industriali. Rispetto al gas di sintesi prodotto con il metano, quello prodotto grazie ai rifiuti può avere un costo inferiore, ha una minore produzione di emissioni di anidride carbonica (responsabile dell’innalzamento della temperatura del pianeta) e non richiede appunto il consumo di ulteriori fonti fossili.

Il Distretto circolare di NextChem

NextChem, una società del gruppo Maire Tecnimont, multinazionale italiana che si occupa di ingegneria impiantistica per il settore energetico e chimico, ha sviluppato un’idea per aumentare la quota di rifiuti riciclati grazie a un processo chimico e, contemporaneamente, rendere più sostenibili alcuni dei settori industriali più comunemente associati all’inquinamento.

Il modello di distretto industriale circolare pensato da NextChem si basa sui principi dell’economia circolare, un obiettivo sia per la Commissione europea che per l’attuale governo, come ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte agli “Stati generali” dell’estate scorsa. Il modello integra questa tipologia di riciclo chimico con il riciclo tradizionale (che produce nuove materie prime per stampare nuovi oggetti in plastica) e anche con la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili mediante elettrolisi.

I primi Distretti circolari

Il modello teorico di Distretto circolare di NextChem si può adattare a siti industriali esistenti per aiutarli a diventare più sostenibili per l’ambiente e nella decarbonizzazione, cioè nella riduzione di emissioni di anidride carbonica.

Esistono già tre progetti di Distretti circolari in Italia, a diversi livelli di sviluppo, e realizzati da NextChem insieme a Eni, la più importante azienda energetica del paese. Uno riguarda la raffineria di Eni di Venezia, dove si viole avviare la produzione di idrogeno “circolare”. Il secondo riguarda invece la produzione di metanolo circolare alla raffineria di Eni di Livorno. È ancora in una fase di studi preliminari invece il progetto per la produzione di gas di sintesi e di idrogeno circolare a Taranto.

A vent’anni dalle proiezioni visionarie di Jeremy Rifkin, le tecnologie di stoccaggio ed elettrolisi consentono di compiere finalmente un reale passo in avanti nel processo di transizione energetica. 

di Pierroberto Folgiero

I processi di decarbonizzazione che vanno messi in campo per riuscire a contenere l’aumento della temperatura del pianeta devono prevedere la sostituzione di un numero vastissimo di tecnologie impiantistiche nate nei passati decenni sulla base di feedstock di origine fossile. Una vera “rivoluzione impiantistica industriale” che apre un fronte di enormi opportunità di innovazione e di business.

Uno dei paradigmi di cui si sta molto parlando è quello di una conversione del sistema energetico – per gli usi industriali, dei trasporti e civili – in cui accanto all’energia elettrica da fonti rinnovabili si faccia strada l’utilizzo del vettore idrogeno low o zero carbon. Parliamo di un idrogeno detto “blue”, prodotto con tecnologie tradizionali ma con cattura della CO2 – dunque riducendo le emissioni climalteranti in atmosfera; un idrogeno green, prodotto da elettrolisi utilizzando fonti di energia rinnovabile – la soluzione ottimale in termini ambientali, ma la cui produzione pone ancora problemi in termini di costi e di continuità di approvvigionamento energetico; o un idrogeno ‘circolare’, prodotto con processi che partono da rifiuti dei quali viene recuperato il contenuto di carbonio e idrogeno attraverso tecnologie di conversione chimica.

Oggi, a vent’anni di distanza dalle proiezioni anticipatrici e visionarie di Jeremy Rifkin, sembra che i tempi possano essere maturi. Oggi ci sono tecnologie di stoccaggio, migliori tecnologie di elettrolisi e piattaforme tecnologiche nuove, come quella che propone NextChem per la produzione dell’idrogeno circolare, che consentono di realizzare impianti sicuri, che hanno considerevoli vantaggi ambientali non solo dal punto di vista dell’impatto sul clima, ma anche in ottica di economia circolare, risolvendo anche il problema del recupero di volumi enormi di scarti plastici che ad oggi non hanno collocazione.

“L’idrogeno prodotto da rifiuti prevalentemente plastici è puro e consente una netta riduzione dell’impronta carbonica”

L’idrogeno ha tanti utilizzi quanti ce ne possono essere nell’industria, nella mobilità e nella vita civile. È quello che si chiama un building block della chimica: un prodotto-base per realizzare più o meno tutto quello che abbiamo quotidianamente attorno a noi. 

L’idrogeno prodotto da rifiuti, prevalentemente plastici, è un idrogeno puro, che viene da un processo tecnologicamente consolidato; quando impiegato in sostituzione dell’idrogeno “grigio”, l’idrogeno circolare consente una riduzione importante dell’impronta carbonica. Se viene prodotto utilizzando nel processo anche altro idrogeno proveniente da elettrolisi da rinnovabili, il processo industriale può addirittura raggiungere la neutralità carbonica anche della fase di produzione. Il costo di produzione è competitivo rispetto all’idrogeno convenzionale da fonte fossile, potendo contare sul delta rappresentato dal costo di smaltimento. Gli impianti per la sua produzione – con tecnologie già oggi cantierabili – possono essere collocati in siti industriali tradizionali energivori come le raffinerie e possono essere funzionali alla loro decarbonizzazione, e magari in prossimità di impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, in modo da ottimizzare la logistica di approvvigionamento, riducendo ancora di più l’impronta ambientale e creando un sistema virtuoso “a km zero”.

Nel 2025 si stima che il 23% dell’energia in Europa verrà dall’idrogeno. L’Unione Europea ha lanciato la sua strategia, dimostrando ancora una volta la volontà di porsi in una posizione di avanguardia su questi temi, a livello mondiale. Ogni Paese è chiamato a dotarsi di una sua strategia, sull’idrogeno. L’Italia dovrà farlo. Un nuovo scenario a idrogeno porta con se’ investimenti in ricerca, occupazione e sviluppo industriale. La Germania ha stanziato 9 miliardi, la Francia ne ha stanziati 7, l’Italia si legge che potrebbe stanziarne 3. L’Italia potrebbe giocare un ruolo molto più ambizioso in questa partita; per farlo deve non solo supportare la filiera con incentivi e defiscalizzazione in misura adeguata, ma soprattutto deve fornire un quadro normativo chiaro e abilitante.

In Europa le proiezioni danno una capacità complessiva di elettrolisi di 40GW per il 2030, con 6.800 km di pipeline, che diventeranno 23.000 entro il 2040 (il 75% dei quali saranno reti gas convertite). L’Italia, nella geografia prospettica delle stime di sviluppo del settore, al momento risulta non pervenuta.

Oggi, delle 70 milioni di tonnellate di idrogeno prodotte la quota prevalente è da steam reforming, utilizzando una fonte di origine fossile, il gas naturale. Questo tipo di idrogeno (detto grey), che da solo oggi rappresenta circa il 75% della produzione mondiale di idrogeno, si stima sia responsabile, insieme a quello generato dal carbone, di quasi il 3% delle emissioni globali di CO2. Questo perché il carbonio contenuto nella fonte fossile viene direttamente scaricato all’atmosfera durante il ciclo produttivo. Per ogni kg di idrogeno da steam reforming si immette in atmosfera 10 chilogrammi di CO2. Se vogliamo attuare una strategia che abbia un impatto in modo rapido sul taglio delle emissioni, non possiamo aspettare molti anni: occorre immaginare una strategia graduale, che veda l’implementazione non solo delle infrastrutture necessarie (su scala internazionale), ma anche di soluzioni “di passaggio”, già disponibili oggi, come l’idrogeno circolare. 

“Nel 2025 si stima che il 23% dell’energia prodotta in europa verrà dall’idrogeno e nel 2030 la capacità produttiva sarà di 40GW”

NextChem sta studiando tecnologie innovative anche per superare i problemi tecnici relativi al sequestro della CO2 e sviluppare soluzioni per il suo riutilizzo. La nostra tecnologia Super Blue porta a un ulteriore livello successivo il concetto di blue hydrogen, introducendo come aspetto innovativo l’utilizzo di energia rinnovabile come mezzo alternativo per il processo termico dei forni. Questo approccio permette di ridurre del 50% la generazione di CO2 durante la produzione, facilitandone quindi il recupero totale.

La collaborazione tra filiere industriali diverse, tra università e industria, tra industria e istituzioni, è la chiave dello scenario futuro. In Italia il ‘Tavolo Idrogeno’ istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico è un’iniziativa alla quale anche la nostra azienda ha preso parte e volentieri continueremo a dare la nostra collaborazione alla ripresa dei lavori. Abbiamo aderito anche alla European Clean Hydrogen Alliance, l’alleanza creata dalla Commissione Europea per svolgere un ruolo centrale nella discussione su tutti gli aspetti di produzione e trasmissione dell’energia, sulla mobilità e sull’industria.

Lo sviluppo di un sistema a idrogeno richiede investimenti, una forte volontà politica e un approccio sinergico e intersettoriale, in quanto quello che si prospetta è un cambiamento radicale delle tecnologie impiantistiche industriali e delle reti di trasporto e distribuzione, su un piano che non può essere che sovranazionale. Serve dunque una visione complessiva di sistema. Per sviluppare il mondo dell’idrogeno bisogna innescare sinergie tra settori – energetico, manifatturiero, dei trasporti – molto diversi tra loro e mettere insieme filiere distanti che si devono parlare e che devono uniformare linguaggi, conoscenze, condividere dati e informazioni, creare sinapsi del tutto nuove. 

Quello che abbiamo oggi, vent’anni dopo Rifkin, è, forse, la capacità di mettere insieme questi mondi così diversi per creare una visione di sistema: oggi ci aiuta la digitalizzazione, la facilità nello scambio delle conoscenze, e l’urgenza di agire adesso, subito, per produrre effetti che si vedranno, speriamo, tra qualche anno.

di Emanuele Bompan

Idrogeno ricavato da fonti rinnovabili o dalla conversione di rifiuti, riconversione dei vecchi siti produttivi e biocarburanti di nuova generazione: la strategia di NextChem é assai articolata, e contribuisce a quel cambiamento culturale indispensabile perché la decarbonizzazione possa avere successo.

Industrializzare l’innovazione, un tema complesso, soprattutto nei grandi progetti di biochimica e chimica verde, dove ottime idee spesso si arenano per la difficolta di trovare un abilitatore per lo scale-up. Oppure dove la riqualificazione dei brownfield, prevalentemente siti industriali chimici, petrolchimici o siderurgici, da cui partire per avviare o consolidare un percorso di transizione energetica e ridare vita e futuro alle proprie attività, non è semplice. Ma nella grande sfida per la decarbonizzazione dell’industria, un tema centrale, ribadito anche dalla strategia del Green Deal Eu e dal meccanismo Just Transition, è proprio quello di ripensare i distretti della chimica (settore industriale che pesa complessivamente per il 19% delle emissioni di tutta l’industria), agendo su tre fronti chiave: ridurre i consumi di plastica laddove possibile e spingere sul riciclo chimico meccanico dei rifiuti in plastica; decarbonizzare la produzione dell’energia utilizzata nell’industria chimica; “defossilizzare” i feedstock utilizzati per la produzione dei composti chimici di base, senza contare poi la produzione di nuove forme di energia e carburanti low carbon, come waste-to-hydrogen o Hvo e etanolo di seconda generazione. Uno dei grandi protagonisti di questa trasformazione, che guarda alla realizzazione di distretti circolari della chimica, è NextChem, società fondata nel 2018 dal Gruppo Maire Technimont, leader nell’engineering del settore del downstream oil&gas, per occuparsi dello sviluppo di tecnologie e impianti per la transizione energetica. “Il modello di NextChem é pensato proprio per dare una risposta alle principali sfide di questi anni, quella della decarbonizzazione, per mantenere nei limiti la temperatura del pianeta; quella dell’economia circolare, per trasformare gli scarti in nuove risorse e usare queste nuove risorse nei processi produttivi riducendo parallelamente l’estrazione di materie prime e risorse naturali. E infine quella della mobilita sostenibile”, spiega a “Materia Rinnovabile” Pierroberto Folgiero, Ceo di NextChem e del gruppo Maire Tecnimont. Una visione che ha tra gli obiettivi la creazione
di un ideale “distretto circolare” dove sviluppare le tecnologie del presente e del futuro per una chimica circolare e per realizzare carburanti e fonti di energia innovative, business case che siano sempre più attraenti per i capitali verdi, scalabili e industrializzabili. Un modello funzionale alla riconversione dei siti industriali cosiddetti brownfield, prevalentemente siti industriali chimici, petrolchimici o siderurgici, che devono avviare o consolidare il proprio percorso di transizione energetica e ridare vita e futuro alle proprie attività, un futuro sostenibile.

L’idrogeno della transizione è circolare

Quella dell’idrogeno circolare è una proposta targata NextChem che trova ampio spazio nel dibattito incorso a livello globale sul ruolo dell’idrogeno low carbon o fossilfree nell’economia del futuro. “L’idrogeno verde, prodotto a partire da fonti di energia rinnovabile è certamente la strada del futuro, ma i costi sono ancora molto alti (circa quattro volte quelli dell’idrogeno convenzionale da steam reforming) e gli aspetti legati alla continuità energetica ancora non rendono questa tecnologia applicabile nell’immediato per i processi industriali, che necessitano di una costanza nell’approvvigionamento e di una sostenibilità economica, in assenza di incentivi”, spiega Folgiero.

Già oggi possiamo invece produrre idrogeno utilizzando rifiuti,a un costo competitivo con i fossili e, in questo modo, anche incentivarne il riciclo. Questo processo rappresenta un agevolatore verso una produzione completamente green entro i prossimi 20-30 anni.

La piattaforma tecnologica NextChem per la produzione di idrogeno e altri chemicals “circolari” si basa su un processo di ossidazione parziale ad alta temperatura, che produce un gas di sintesi che poi viene trasformato in idrogeno o altri prodotti chimici o carburanti, come il metanolo e l’etanolo.
Una tecnologia che potrebbe integrare anche l’elettrolisi, per migliorare ulteriormente la carbon footprint. La tecnologia per produrre idrogeno a partire dalla conversione chimica di rifiuti quali plasmix e Css (combustibile solido secondario, derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani non pericolosi e speciali non pericolasi) permette una riduzione dell’impatto carbonico con un abbattimento fino all’80% della CO, se comparata con l’idrogeno grigio, ovvero tradizionale, da steam reforming.
Oltre al vettore energetico, dal gas di sintesi si possono produrre anche metanolo oppure ammoniaca (NH3). La NH3, stoccabile liquida e a bassa pressione, contiene una quantità di idrogeno (H) importante, seconda solo al metano (NH,), che può essere usata come succedaneo nelle fuell cell oppure essere impiegata come carburante meno carbon-intensive nel settore navale. Con Eni si stanno sviluppando i primi due progetti italiani di impianti per la produzione di idrogeno e di metanolo da conversione chimica di plastiche e materiale secco da rifiuto. Questi impianti nasceranno rispettivamente presso le raffinerie di Porto Marghera e di Livorno, mentre recentemente è stato annunciato uno studio preliminare alla possibile conversione della raffineria di Taranto per produrre gas di sintesi per idrogeno per alimentare i processi di idrodesolforazione dei carburanti, e un gas ricco di ossido di carbonio che potrebbe essere impiegato nella vicina acciaieria, sia nei processi in altoforno sia nelle nuove tecnologie Dri (Direct Reduced Iron), contribuendo alla decarbonizzazione dell’industria siderurgica. Un altro importante processo “circular” è il Waste to Ethanol, sviluppato con LanzaTech, leader delle carbon recycling technology. Il processo base del riciclo chimico si integra con un processo che dal gas circolare (come quello che verrà prodotto a Marghera e Livorno), tramite la tecnologia biologica LanzaTech di syngas fermentatíon potrà generare etanolo sfruttando batteri bioingegnerizzati.
L’etanolo, che in Italia viene totalmente importato, è anche un intermedio importante per una serie di componenti chimici, quali l’etil-acetato — un solvente pregiato per le vernici auto di cui l’Europa è forte importatore — e l’alcol, utilizzato come disinfettante. Essendo derivanti dal riciclo, questi prodotti chimici promuovono modelli circolari di consumo.

Una nuova generazione dl carburanti


Un altro pezzo importante del modello Nextchem sono i carburanti di seconda generazione, attraverso l’uso di biomasse non food, che costruiscono il segmento delle tecnologie Green dell’azienda. Uno degli accordi più interessanti siglati da NextChem è quello con l’azienda brasiliana Granaio e dedicato alle biotecnologie industriali: lo sviluppo e la commercializzazione della licenza di GranBio 2G Ethanol per la produzione di etanolo a base cellulosica. 2G sta per seconda generazione, poiché usa le biomasse non destinate al settore alimentare in biocarburanti rinnovabili e a bassa intensità di carbonio.”Noi offriremo le competenze nell’area Epc (Engineering, Procurement e Construction) e la presenza globale del gruppo per offrire servizi integrati, dagli studi di fattibilità all’integrazione di filiera e alla costruzione di impianti produttivi in tutto il mondo. In questo modo contribuiremo al processo di decarbonizzazione del settore dei carburanti in un modo efficiente, redditizio e neutrale dal punto di vista carbonico”, spiega Folgiero. Al momento a Sao Miguel dos Campos, in Alagoas, Brasile, è attivo il primo impianto, con una capacità produttiva di 30 milioni di litri/anno; inoltre, il 100% del biocarburante può essere potenzialmente esportato verso i mercati americano ed europeo.
Un impianto multi-materia poiché si possono usare ogni tipo di rifiuti agricoli e biomasse a base ligneo-cellulosica, come la paglia, il miscanto, le bucce del mais e scarti lignei come quelli dell’eucalipto e del pino.

Nel segmento del diesel rinnovabile (Hydrotreated Vegetable Oil, detto Hvo) è ben avviata la collaborazione con la società statunitense Saola Energy per la diffusione di una tecnologia chiavi in mano, altamente modularizzata, che consiste in una fase di idro-trattamento seguita da una di isomerizzazione per produrre Diesel rinnovabile di alta qualità, a partire da oli e grassi residui. Si tratta di un modello di bioraffineria di piccola taglia (da 30.000 a 90.000 tonnellate/anno), adattabile anche per bioraffinerie integrate. Integralmente sostituibile al Diesel tradizionale, l’Hvo può costituire una tecnologia di transizione di medio periodo, facilmente impiegabile in tanti paesi in via di sviluppo e in mercati dove la domanda di carburanti per uso di autotrasporto con mezzi pesanti è primaria. “Il vantaggio è che questi impianti sono realizzabili direttamente dove si produce la biomassa di scarto, riducendo i costi di logistica e i tempi di approvvigionamento e massimizzando l’uso delle risorse locali”, continua Folgiero.

Idrogeno verde e superblu


Il 75% dell’idrogeno viene prodotto tramite steam reforming del gas naturale. Si definisce “idrogeno grigio” ed è responsabile (insieme al reforming del carbone) di circa il 3% delle emissioni globali di CO2.Questo perché il carbonio contenuto nella fonte fossile viene direttamente scaricato all’atmosfera durante il ciclo produttivo. Mentre numerose compagnie come Eni stanno promuovendo attivamente progetti con cattura e uso della CO2 (idrogeno blu), cresce lo sviluppo di progetti per l’idrogeno verde, che ha costi superiori ma impatti ambientali decisamente ridotti. In queste tecnologie stanno investendo paesi come la Germania che ha allocato 9 miliardi di euro nei piani di ripresa per generare il primo elemento della tavola periodica e la Francia, con 2 miliardi di euro che saranno finanziati tramite la Recovery and Resilience Facility. Il Gruppo Maire Tecnimont vuole posizionarsi nel ruolo di “front runner” per l’applicazione della tecnologia dell’elettrolisi per la produzione di idrogeno green e nel segmento super-blue, che impiega energie rinnovabili come mezzo per il riscaldamento termico dei forni di reforming. Al momento, l’idrogeno verde rappresenta solo il 2% della produzione a causa di costi molto alti (tra i 3,5 e i 5 euro/chilo, contro 1,50 euro/chilo del grey hydrogen). Tuttavia, secondo La IEA il crescente prezzo della CO2e la riduzione dei costi delle rinnovabili, che per il solare fotovoltaico dovrebbe assestarsi su 1,3 centesimi di euro/KWh, renderanno nel breve termine questa tecnologia assolutamente competitiva. “In questa fase di transizione, prima che il Green hydrogen raggiunga la maturità, il Blue hydrogen, il Super Blue hydrogen e il Circular hydrogen avranno un ruolo fondamentale in ottica lowcarbon”, spiega Pierroberto Folgiero.

“Lo sviluppo del settore dei biocarburanti, inevitabile nel percorso transitorio verso l’elettrico e comunque fondamentale per alcuni segmenti del settore dei trasporti, pone un tema gigante di upstream”,commenta Folgiero. “Occorre uno sforzo per trovare nuove soluzioni per incrementare i feedstock non-food di origine vegetale, che hanno disponibilità limitata e problemi di logistica e di conservazione ancora da affrontare. Lo sviluppo di tecnologie che usano i rifiuti come feedstock è una strada indispensabile, sia in termini transitori sia di prospettiva, per colmare il gap delle fonti advanced, che attualmente sono limitatissime. Per percorrere questa strada va fatto uno sforzo culturale, oltre che tecnologico: bisogna unire la visione dell’economia circolare alla visione della bio economia, studiando le sinergie e promuovendo le simbiosi tra settori. Ma, soprattutto, bisogna porsi nell’ottica di considerare i rifiuti come materia prima pregevole, non come scarti da eliminare e come problema sanitaria da risolvere.