Climate-friendly recipes

Fonte QualEnergia - 13 July 2021
Climate-friendly recipes

Il mondo delle imprese deve affrontare la crisi del coronavirus, continuando la transizione energetica verso le rinnovabili.

Quale dovrebbe essere l’azione delle imprese per la transizione energetica nel contesto del Coronavirus? Ne abbiamo parlato con Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Maire Tecnimont Group e di Nextchem.

Quali effetti avrà la pandemia nel mondo delle imprese e sul loro rapporto con la sostenibilità?


«È chiaro che lo scenario delineatosi della crisi globale causata dall’epidemia di Coronavirus ha effetti recessivi sull’economia mondiale. Per contro, è ormai evidente anche l’impatto del lockdown e del rallentamento delle attività economiche sulle emissioni di CO2. In Italia si stima che la riduzione di emissioni nel primo trimestre del 2020 sia nell’ordine del 5-7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, mentre alcune analisi prefigurano una caduta molto più alta delle emissioni in Cina. Nel prossimo periodo la priorità dell’industria sarà probabilmente la riduzione dei costi, specie di quelli delle materie prime e l’attenzione rispetto al problema dell’impatto climatico potrebbe essere più debole del periodo antecedente alla crisi. Bisogna però tener conto che questa flessione nelle emissioni climalteranti è insostenibile nel lungo periodo: quando gli effetti del Coronavirus saranno un ricordo, il mondo si troverà a doversi confrontare di nuovo con l’aumento della temperatura del Pianeta e con le conseguenze dei cambiamenti climatici. La riduzione stabile delle emissioni è un processo che matura nel lungo periodo e attiene a una vision più ampia, che è quella sulla quale dobbiamo riflettere».


In questo momento ci sono molte pressioni per una ripresa rapida a tutti i costi, perché si deve mantenere una visione a lungo termine?

«Diversi esperti ritengono che questa crisi vada vista come un’opportunità per guidare il mondo verso una direzione sostenibile. La sfida è riuscire a programmare una ricostruzione che sia rapida ma anche duratura, preparando il sistema industriale alla riduzione dei rischi e delle perdite economiche derivanti dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dall’impatto che questi hanno e avranno su molti settori. Questi rischi ormai non sono più intangible: sono rischi concreti, già oggi considerati di segno negativo nelle valutazioni dei fondi di investimento. Il Coronavirus sta mostrando quanto fragile sia il nostro sistema e cosa accade al mondo quando un rischio sistemico improvvisamente diventa realtà. I capitali privati saranno sempre più attratti da investimenti sostenibili a lunga gittata su tecnologie green e innovative che sono la chiave delle economie del futuro – economie che devono essere resilienti – piuttosto che investendo sul mantenimento dello status-quo. L’innovazione è la leva della crescita economica e oggi l’innovazione s’indirizza verso quelle tecnologie capaci di creare valore duraturo in un mondo realmente sostenibile, “a prova di futuro”. Non vi è alcun dubbio su quanto ci si debba sforzare di guardare al domani. Il nostro ‘domani’ deve essere a trent’anni: è questo il momento per mettersi a lavorare a una pianificazione di grande respiro, che avvii un ciclo d’investimenti a lungo termine. È un’occasione storica perché i politici possano essere efficaci policy maker».

L’intervento pubblico dovrebbe sostenere la transizione energetica? Non ci si può affidare solo al mercato?


«Le innovazioni sostenibili devono essere introdotte come interventi di sostegno a industrie colpite dallo shock del Coronavirus. Gli aiuti che verranno dai Governi nel prossimo futuro dovranno privilegiare il supporto agli investimenti ad alta intensità di capitale per tecnologie industriali sostenibili e a bassa intensità di carbonio. Il sostegno pubblico non può essere concepito soltanto in base all’efficacia nel breve periodo, ma deve essere finalizzato a creare le condizioni per realizzare infrastrutture e progetti industriali di rilievo che possono risolvere problemi strutturali del Paese, aiutare la conversione dell’industria tradizionale e pesante a tecnologie a minor impatto di carbonio, promuovere la riqualificazione verde di siti brownfield d’interesse nazionale. Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, chiede espressamente che l’energia pulita sia il cuore dei piani di sostegno volti a contrastare la crisi Coronavirus, ma questa è anche la posizione di un numero crescente di economisti, esperti e rappresentanti di imprese. Lo stesso tema è oggetto della recente piattaforma lanciata a livello europeo, l’Alleanza Europea per la Ricostruzione Verde, che riunisce decine di opinion leader, Istituzioni e capi d’azienda di tutta Europa, nonché del manifesto lanciato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile di cui siamo tra i soci fondatori, e anche dell’appello della Fondazione Symbola ai firmatari del Manifesto di Assisi sul clima, tra i quali figuriamo anche noi. Il dibattito stesso in merito al Green New Deal Europeo, se sia meglio bloccarlo o mandarlo avanti, è un non-sense: se dobbiamo aiutare l’economia a uscire da questo buco nero, conviene farlo in modo sostenibile».

Nel concreto cosa si dovrebbe fare?

«Occorre invitare i Governi ad agevolare in modo più coraggioso investimenti sostenibili che consentono di risparmiare risorse naturali declinando il paradigma della circolarità, a sostenere le tecnologie di riciclo, supportare la produzione di prodotti per l’industria e il commercio realizzati con materie prime a base biologica e non fossile, a promuovere la produzione di prodotti chimici dal riciclo di scarti e rifiuti.

Dovrebbero essere introdotte misure efficaci per agevolare interventi sui processi industriali volti alla sostituzione di cariche di origine fossile con quelle rinnovabili e alla cattura e recupero della CO2 prodotta. Dovrebbero essere introdotti strumenti di fiscalità premianti per quei processi che migliorano l’efficienza energetica e l’impronta di carbonio, rendendo le industrie più competitive perché meno esposte a rischi futuri. In altre parole, questo è il momento di passare dalla fase di mobilitazione emozionale a una fase concreta o operative: occorre “mettere le mani nel motore” e trasformare l’ondata di consenso dell’opinione pubblica in un set di politiche industriali nuove. Serve un quadro normativo che crei le precondizioni per l’impiego dei capitali verdi che saranno disponibili in modo sempre più massiccio. Serve per esempio una corsia preferenziale per le autorizzazioni a infrastrutture e impianti verdi e circolari. Serve una norma stringente sulle emissioni di CO2 che sia in grado di indurre la monetizzazione delle emissioni climalteranti evitate nel conto profitti & perdite di un’azienda».

Quale dovrebbe essere la ricetta per far ciò?

«Le economie nazionali dovranno diventare più resilienti a shock come questo del Coronavirus, perché è indispensabile per un Paese essere autonomo dal punto di vista industriale. Con la chimica verde si può creare un paniere di beni prodotti localmente, disponibili nel Paese e in grado di garantire l’autosufficienza. Nessuno vuole mettere in discussione i vantaggi della globalizzazione, ma di certo occorre iniziare

a ragionare in un’ottica più ‘regionalistica’, cercando di trovare il giusto equilibrio per una gestione intelligente delle risorse. Come? Implementando l’economia circolare per risparmiare risorse naturali, recuperando la maggior quantità possibile di materiali post-consumo che sono un vero e proprio tesoro di molecole preziose e riducendo in tal modo la nostra dipendenza da altri Paesi per l’approvvigionamento di materie prime. Bisogna iniziare a ragionare sullo sviluppo di tecnologie green in un’ottica di prossimità con la biomassa che sarà usata come carica – e la disponibilità di biomasse è la vera sfida per l’economia sostenibile del futuro – aiutando in tal modo anche le economie locali. Occorre ridurre lo spreco energetico e le emissioni di CO2 con l’applicazione di tecnologie a
basso impatto di carbonio e con l’upgrading sostenibile delle apparecchiature industriali esistenti. La transizione a nuove forme di energia combinata con il nostro know-how e la nostra imprenditorialità sono una ricetta rivoluzionaria. Allo stesso tempo, il balzo in avanti nella digitalizzazione è una soluzione disruptive per valorizzare il capitale umano del nostro Paese».

Come azienda come vi muoverete?

«NextChem, l’azienda del Gruppo Maire Tecnimont dedicata alla chimica verde, ha sviluppato soluzioni in tutte queste direzioni. La nostra tecnologia proprietaria di Upcycling consente di ottenere una perfetta circolarità poiché permette la trasformazione di rifiuti plastici post-consumo in polimeri ad alte prestazioni che possono sostituire la plastica vergine. Le nostre tecnologie a base bio per la chimica verde consentono l’integrazione con impianti esistenti per produrre intermedi e biocarburanti da oli e grassi residui. Le nostre tecnologie di riciclo chimico permettono la produzione di gas circolare, idrogeno circolare, metanolo e altre preziose molecole da scarti plastici e secchi non riciclabili, con un doppio beneficio, sia sul fronte della circolarità sia sul taglio della CO2, senza trascurare la sostenibilità sul piano economico.

Inoltre, NextChem è impegnata nello sviluppo di un Modello di Distretto Circolare che include tecnologie proprietarie e licenziate in uno schema integrato, con sinergie operative, significative e vantaggi ambientali rilevanti. Il Modello di Distretto Circolare può essere una soluzione distintiva per siti industriali brownfield che debbano essere decarbonizzati o riqualificati con un’impronta ambientalmente più sostenibile, per industrie energivore e tradizionalmente fossili, come quelle dell’acciaio, del vetro, della gestione rifiuti e petrolchimica. Un ingrediente della resilienza è anche la capacità di digitalizzare il più possibile tutti i settori della nostra economia. Maire Tecnimont è stata tra le prime società del suo settore ad adottare le più avanzate tecnologie Ict per le infrastrutture di Gruppo. Ciò ha consentito a Maire Tecnimont di poter affrontare la situazione corrente con un approccio ‘adattivo’».

In conclusione come bisogna agire?

«Penso sia il momento di condividere con i principali decision maker livello sia istituzionale sia di business, un piano importante per la ricostruzione industriale che abbia un impatto positivo sull’economia, sulla società e sull’ambiente. Nessuno dimenticherà questi giorni bui per l’impatto devastante che hanno avuto in termini di vite umane, di disoccupazione, di sofferenza delle imprese. Oggi abbiamo la possibilità per far sì che questi giorni siano ricordati anche per l’impulso che saremo stati in grado di dare a ciò che i nostri Paesi non sarebbero mai stati capaci di fare in tempi normali».